Politica

Voglio morire in piazza Grande

Le Bourget de lacOggi ospito una bella nota del Libero Pensatore Guido Tampieri

E se la vita non ha sogni io li ho
E te li do. Lucio Dalla

Gran bella gente, i i giorni scorsi alla Leopolda.
Pulita, moderna, convintamente progressista. Dico davvero.
Si è pagata anche le spese, come ha sottolineato l’elegante ministro Boschi.
Mica come quelli di Piazza San Giovanni, che i pullman glieli ha offerti la CGIL.
Comodo, coi soldi dei contributi sindacali, ma non sarebbe ora di toglierli?
A cosa servono poi, che i sindacati non difendono chi lavora e, men che meno, chi un impiego lo cerca.
Senza quell’ingombro saremmo un Paese ricco, come no, niente debito, niente crisi, più lavoro, meno tasse, per tutti.
Senza l’articolo 18 sarà così , vedrete, investimenti come se piovesse, salsicce sugli alberi, zecchini d’oro ovunque, nel campo dei miracoli.
In quella piazza c’era solo gente garantita, si capisce dalle facce, che vuol conservare i suoi privilegi, lo sappiamo.
Garantita e nostalgica, dice il Premier, fuori dalla storia, un residuo del ‘900, che deve essere stato davvero un secolo orribile, visto che le conquiste dei nostri padri vanno cancellate.
Per il bene dei nostri figli.
Una presenza imbarazzante quasi per una sinistra moderna che ha capito cos’è il futuro.
E li’ ci porterà, statene certi, ci piaccia o no.
Il futuro come luogo definito, insensibile ai nostri bisogni e alle nostre azioni.
Non come i futuri di una volta, che pensavamo di poter plasmare.
I nuovi futuri saranno così , da prendere o lasciare.
Come il posto fisso.
Che è diventato mobile.
Dal lavoro tutelato a quello precario, al non lavoro.
I lavoratori si sentono come birilli del bowling, che aspettano il loro turno per andar giù.
“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
Non è che gli operai italiani non vogliono lavorare, visto che, dati alla mano, in imprese di pari dimensione sono i più produttivi d’Europa.
Non pretendono nemmeno di essere mantenuti, e di non essere licenziati, perché sanno, da prima dell’avvento di Renzi, che viviamo tempi difficili (L’età dell’incertezza di J.K. Galbraight e’ del 1977).
D’Alema diceva le stesse cose 10 anni fa, che, a saperlo, Renzi cambiava le parole.
Le donne e gli uomini di quella piazza vorrebbero solo che, se proprio devono lasciare l’azienda cui hanno dedicato un pezzo di vita, questo avvenga per una ragione fondata e non per il ghiribizzo di un padrone vestito da imprenditore.
Tutto qui.
Per comprenderne le ragioni, e rispettarle, non occorre essere di sinistra.
Si può sostenere, con fondati argomenti, che il sindacato abbia svolto in questi anni un ruolo di conservazione, che non è proprio il caso di infilarsi in una catena di scioperi per questo importante ma non decisiva questione, che nel Jobs Act c’è un’impostazione interessante, che lo sgravio delle tasse sul lavoro esprime una politica prudentemente espansiva meritevole di apprezzamento, che la vecchia guardia del PD non ha titolo per accusare, che Camusso non è Lama, che Landini non è il futuro ne’ il passato, che Fassina e’ niente.
Quel che non si può dire e’ che quella gente in piazza e’ egoista, che è vecchia, non capisce e, sopratutto, danneggia chi ha un lavoro precario o non ce l’ha.
Non si può dire perché non è giusto, perché non è vero.
Vent’anni fa, alla fine della storia preconizzata da Fukuyama, comincio’ l’inesorabile cammino della deregulation.
Si diceva che la vita di tutti sarebbe stata migliore, più varia, vuoi mettere la noia di un lavoro per sempre.
Ronald Reagan era convinto che chi viveva sotto un ponte non solo se lo era meritato ma ne fosse addirittura contento.
Poi si è capito che il patto tra capitale e lavoro stava diventando leonino, che quel che separa la flessibilità dalla precarietà e’ una sottile lastra di ghiaccio, che scivolare nell’abuso che umilia la dignità umana era possibile.
Se qualcuno dubita delle sorti magnifiche e progressive di un sistema malato, che un Pontefice assai poco “moderno” non perde occasione di denunciare, se chiede garanzie concrete per non precipitare nel vuoto, non lo si può schernire con un giochetto di parole su un gettone che non entra nell’iPhone.
Abbiamo accolto l’energia dirompente di Renzi come una necessità salutare, per l’Italia e per il PD .
Un assemblaggio di conservatori alla guida del partito dei progressisti ha prodotto, per reazione, il trionfo di un innovatore seriale.
Le leggi della dinamica hanno prevalso su un’agonia statica.
Sarebbe bene, adesso, che il capo del Governo e segretario del PD assumesse comportamenti da statista.
I leader sanno unire le loro comunità.
Per dividerle bastano i Salvini.
Renzi deve mostrarsi all’altezza del compito impegnativo che gli abbiamo affidato.
Vedete, la gente e’ strana, il futuro lo vorrebbe migliore.
Per tutti e un po’ anche per se.
Che se uno prende 1.200 euro a fare lo stesso lavoro di un operaio tedesco che ne percepisce 3.000 sarà anche più fortunato di un giovane precario che ne prende 600 ma perché dovrebbe sentirsi in colpa se desidera una protezione sociale, un aumento, una pensione dignitosa.
Come un operaio danese.
Davvero dipende da lui, da queste aspirazioni” basic”, ( Costituzione, art.36 ” il lavoratore ha diritto a una retribuzione sufficiente ad assicurare a se è alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”) se non c’è lavoro per tutti, se altre persone stanno peggio?
Non ci sono sindacati in Germania?
E il Premier tedesco non parla con loro?
Non ci si rende conto dei guasti che può creare questa colpevolizzazione sociale, il mettere gli uni contro gli altri, un uso contundente della disperazione?
Leopolda e Piazza non erano ieri l’altro, come avrebbe dovuto essere, due espressioni di una sinergia rispettosa, due volti di un PD inclusivo.
Erano due entità contrapposte, nemiche.
Una sconfitta politica, altroché.
C’è un futuro probabile che non ci attrae, e ce n’è uno desiderabile, che molti vorrebbero provare a costruire.
Se vi vedono uno spazio per se, per i loro bisogni e i loro sogni.
Nessuno può dire come sarà.
Desiderarne uno, però, di futuro comune, e’ importante .
In quello che sogniamo noi, residui non riciclabili del ‘900, c’è un lavoro tutelato per i giovani, rispetto per gli anziani e una ragione giusta per licenziare un essere umano.

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