Ospedali, case di riposo, centri di aggregazione socio sanitaria, a che punto siamo?
Una delle difficoltà maggiori che incontro è quella di non disporre di alcune informazioni che come cittadino riterrei necessarie. Al tempo in cui siamo, dopo 40 giorni di chiusura, vorrei sapere come stanno alcune cose, anche a livello locale. I comunicati giornalieri, certamente utili, e i ringraziamenti, forse non bastano più. Siccome non vorrei creare equivoci, dico con chiarezza che localmente, a mio parere, si è agito generalmente bene e che i cittadini hanno risposto al meglio alle sollecitazioni. Si potrebbe dire che i risultati lo confermano.
Dopo quaranta giorni però, considerato tutto, è anche opportuno pensare al futuro, alle prossime fasi della questione. In tanti ci chiediamo cosa troveremo e come saremo aiutati e condotti quando torneremo ad uscire di casa. Cosa che penso dovrà avvenire a breve, seppure con regole ben certe. Essendo persona anziana, desidero porre l’accento sui problemi che vedo da vicino, quelli che conosco.
Vorrei partire dall’Ospedale, quello nostro, di Faenza. Per noi è una cosa seria. Ci controlla, ci cura, continua a controllarci. Spesso ho letto che la notizia di una persona positiva viene legata strettamente al fatto che ha contratto il virus in Ospedale. Parrebbe una scusante, invece potrebbe essere una cosa seria. Così come le prime persone da mettere in sicurezza sono quelle deputate alla sicurezza (medici e personale ospedaliero), non possiamo ammalarci nelle strutture create appositamente per guarirci.
Si è vociferato di diversi operatori colpiti dal virus, di reparti chiusi. Non si sa, o meglio io non so e come me credo tanta parte della popolazione, se, con l’attivazione dei reparti Covid di Lugo e Ravenna, l’attività del nosocomio di Faenza sia ripresa a pieno regime. Non si conosce se nei confronti degli operatori si sia proceduto a tappeto con i controlli e quali risultati abbiano dato; se tutti i pazienti siano stati controllati per scovare e isolare i Covid. Non si sa se e come chi entra in ospedale per visite, controlli o ricoveri venga preventivamente trattato. Fornire o meno queste minime informazioni alla cittadinanza vuol dire creare fiducia o aumentare la frustrazione.
Fin dai primi giorni dell’isolamento esperti ed operatori hanno detto che le Case di Riposo sono strutture particolarmente a rischio. Credo abbiano voluto dire che lì andava prestata particolare attenzione con misure immediate e incisive. Allora risulta di difficile comprensione come, dopo più di trenta giorni di isolamento, possa accadere che in una di queste strutture di maggiore prestigio in ambito provinciale, si sia acceso un focolaio. Cosa non ha funzionato? E come sono stati relazionati i comportamenti di quel sito con quelli adottati in tutte le altre strutture? A Castel Bolognese abbiamo una importante e benemerita struttura di quel tipo. Siccome in qualche modo, prima o poi tutti ci abbiamo/avremo a che fare, è possibile essere informati circa le misure adottate per proteggere nello specifico addetti e ospiti? Conoscere queste cose vuole dire sentirsi più sicuri.
Poi ci sono le Case della salute. Esse sono importanti centri di aggregazione sociale e sanitaria. A Castel Bolognese, questa struttura è particolarmente importante e anche ben funzionante. In quella Casa, per un motivo o per un altro, passiamo mediamente tutti almeno qualche volta all’anno. Siamo 10-12 mila cittadini a frequentare quegli spazi, probabilmente non più adeguati. Dove da qualche parte ci sono ancora i pavimenti che ci ha lasciato la seconda guerra mondiale. Sono stato nella struttura per l’ultima volta l’11 marzo scorso. Eravamo già in pieno allarme e distanziati. Ricordo di essere rimasto molto perplesso dall’avere visto medici ed operatori operare senza protezione individuali. In ambulatori con pubblico vociante e tossente, anch’esso senza alcun dispositivo di protezione.
Ricordo da quel momento di avere contato i 15 giorni che allora si diceva fosse il tempo di incubazione del virus. Come non bastasse, qualche giorno dopo è uscita la voce che un operatore della struttura era risultato positivo. Siccome fra poco debbo tornare sul posto, mi sentirei più tranquillo se conoscessi, a seguito di quel fatto, quali siano state le misure prese per sanificare, controllare e tutelare al meglio ogni cittadino che vorrebbe sentirsi tranquillo quando si reca nel luogo dove deve essere curato.
Queste sono solo alcune delle problematiche a proposito delle quali, a quaranta giorni dal distanziamento, sarebbe utile avere maggiori informazioni, utili a determinare consapevolezza ed equilibrio fra la popolazione. Per sfuggire il pericolo assai deleterio e concreto che si passi dall’osanna del “migliore sistema sanitario del mondo” al ” è tutto sbagliato, è tutto da rifare”.