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Un caro amico mi ha parlato del suo orto e mi ha detto…

In questi lunghi e monotoni giorni di clausura, spesso, si telefona all’uno o all’altra. E’ anche utile per non disimparare a parlare, cosa di non proprio conto, particolarmente per le persone attempate. Ho appena finito di parlare con un caro amico che mi ha raccontato di essere appena tornato dal suo orto in campagna.

Era raggiante. Stanco, ma felice. Dicono che l’orto vuole l’uomo morto; significa che ogni giorno c’è qualcosa da fare. Le pianticelle “sentono” l’amico che le accudisce e se manca reagiscono in qualche modo. Mi ha detto che i ravanelli si sono lasciati leccare dalle lumache, che le carote non sono nate, che i piselli non trovando sostegno si sono piegati pericolosamente da un lato. Aglio, scalogna e cipolla, senza godere dell’arieggiamento procurato dalla zappa, si sonno “immaschiati” nella terra dura e si sono lasciati conquistare dall’erba.

Il mio amico mi ha raccontato che tutte le pianticelle gli sono parse più piccole. Causa non solo della sua assenza, ma sopratutto, pensa, causa la siccità. Da mesi non piove e adesso che le piante devono “partire” sono in grave difficoltà. A poco serve loro anche il concime. Considerando i danni della siccità, e lo scenario che spalanca davanti al nostro futuro, ci siamo detti che, se mettiamo assieme, il coronavirus, la siccità che ci introduce alla desertificazione, il riscaldamento globale, se vogliamo mettere anche la brina che ha devastato gran parte del lavoro dei contadini e, se fossimo a Piacenza, anche il terremoto, beh, c’è da preoccuparsi un pochino.

Dopo quattro ore di zappa e di “fresa”, appagato dalla linfa del sudore, dopo avere sopportato i lazzi delle lepri e dei tanti uccelli che in questo tempo hanno conquistato il territorio e che sino visti messi in discussione, il mio amico ha potuto constatare come l’orto, corroborato da una abbondante innaffiatura, avesse cambiato aspetto e come le piante siano parse ringalluzzite. Si è quindi sentito appagato e in pace col mondo. In quel tempo, completamente dimentico del coronavirus, e dalle tante, troppe chiacchiere profuse per dare aria ai denti. O peggio, per combattere meschine lotte di potere, facendo finta di non vedere che il mondo ci sta crollando addosso.

L’ultima parte del suo lavoro nell’orto è poi stata dedicata al “raccolto”. C’era ancora di tutto. Non in una veste elegante, da mostra, ma alla fine s’è portato a casa tre casse di roba (valore di mercato oggi, circa 100 euro). Gli ho obbiettato che mi pareva tanto, lui ha risposto che a suo parere, a conti quasi fatti, l’orto gli rende – per minore spesa – oltre mille euro all’anno. Ed ha detto che poi mi avrebbe spiegato.

Ho chiesto cosa mai avrà raccolto, ed è partito un dettagliato elenco. Avanzi di tutti i cavoli: cavolini di Bruxelles, le ultime foglie di cavolo nero, i ricacci dei broccoli. Poi gli ultimi porri, gli spinaci, le erbette, la cicoria, i radicchi. E non ha dimenticato di ricordarmi le ultime rape dal colletto rosa, i “porotti” delle cipolle germogliate questo inverno e messe subito a dimora nel terreno, poi i bellissimi cespi di insalata che aveva trapiantato sotto serra due mesi fa. Infine i primi ravanelli di stagione.

A tutto questo ha detto di avere aggiunto l’ultima cassetta di patate – un poco “sgonfiate” per effetto della germinazione e l’ultima cassa di mele ancora perfettamente edibili. Patate e mele conservate nella sua vecchia casa disabitata. Infine mi ha raccontato, quasi eccitato, della sorpresa custodita nella “cameraccia” di una nidiata di uccellini  che appena hanno sentito aprire la porta hanno iniziato a garrire a bocca spalancata. Il nido è sulla finestra, fra lo scurone e il vetro. I genitori hanno “bucato” lo scurone e hanno fatto il nido sul davanzale.

Il mio amico ha detto di avere visto fin dal mattino uccelli – non meglio identificati – volteggiargli attorno all’apparenza non contenti della sua presenza. Con ogni probabilità erano i genitori che non si arrischiavano di portare cibo ai pargoli. Spera di non averli “sdegnati” e che stamane riprendano il nutrimento. Ho chiesto di quali uccelli poteva trattarsi, ma non ha saputo dire. Le ipotesi sono che fosse una famiglia di picchi – sono loro che sforacchiano gli scuroni – oppure le upupe viste in giro. Su questo punto se qualche amico cacciatore potesse chiarire, gliene saremmo grati. Del nido l’amico mi ha inviato una foto che condivido.

Infine ho chiesto all’amico quante persone avesse incontrato nella sua giornata all’orto. La risposta è stata, nessuno. Soltanto un saluto al vicino di casa a trenta metri di distanza. Questa cronaca, vera, vuole essere un incoraggiamento ai nostri Sindaci e alla Regione, nel pieno rispetto della catena di comando, a tenere conto nella difficile fase 2 del grande valore che hanno gli orti e di una approfondita valutazione fra costi e benefici. Come poi alla fine sarà per ogni cosa, se si vuole fare ripartire il Paese nel massimo della sicurezza possibile.

 

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