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Allora anche noi siamo stellati e slow food

Traggo lo spunto da un interessante articolo di Riccardo Isola sul Corriere dedicato al cuoco faentino  Silverio Cineri. Premetto di non conoscerlo, di avere cenato una volta nel suo locale di via Cavour e di essermi trovato molto bene. Non so giudicare la sua arte culinaria, ma mi è simpatico il modo col quale parla del cibo. Ho sotto gli occhi il suo Alfabeto a morsi dal quale ho carpito qualche segreto e tratto qualche svolazzo.

E’ bella e degna di avere successo la sua idea di un ristorantino dove si ammanniscano prodotti del luogo e di stagione, conditi con il recupero della tradizione casalinga. Cibo lento, Buono, Pulito e Giusto, come dice Carlo Petrini.

Da quanto capisco, questo nostro ristoratore agisce nel solco della cultura culinaria della sua famiglia e del territorio. Molto bello tutto questo. Molto bello il fatto che da una cultura un tempo certamente estesa, se non di massa, sia nata qualche eccellenza che aiuta a spostare quei valori in avanti.

Sorge però una domanda. Quella cultura un tempo estesa, che dimensioni ha oggi? Con il portato di una vita che ci individualizza e che tende a rubarci i valori dello stare insieme? Che ci propone cibo per vivere e per consumare e non per godere dei gusti e dei sapori della nostra, miracolosa, madre terra?

Questo per dire che mentre, giustamente, diamo credito ad una persona illuminata, allo stesso modo dobbiamo spenderci per recuperare il valore di quella cucina familiare, ancorata al luogo e alle stagioni, che ancora resiste in ogni luogo della nostra Italia. E che consiste un patrimonio da scoprire, preservare e divulgare.

Pensate al valore etico e sociale che potrebbe avere preservare e divulgare la tradizione culinaria dei luoghi e delle famiglie. E proporla ai milioni di turisti che ci visitano e ai miliardi che vorrebbero farlo (e che prima o poi lo faranno). Pensate alla forza di Sindaci che decidessero di mettere nel loro programma di governo la scelta di dare 20 metri di terra ad ogni cittadino. Pensate alla bellezza delle città che moltiplicassero i propri parchi e che li ampliassero con migliaia di campetti per orti e alberi da frutto. Pensate a che mondo ne potrebbe venir fuori.

 

 

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