Cgil, il congresso non si fa con un tweet
Organizzare e svolgere un Congresso non è cosa da 143 caratteri. Neppure nell’epoca dei social network. Non è nemmeno come montare i gazebo per un turno di primarie. E’ cosa molto più seria e impegnativa.
Non fa notizia, non circola su facebook, ma c’è, in Italia, una organizzazione che associa liberamente e volontariamente sei milioni di iscritti. Certificati, o comunque verificabili. Sei milioni di cittadini – lavoratori o pensionati – che hanno firmato una delega impegnativa e onerosa; non il costo di un caffè una tantum, che non si nega mai a nessuno.
Anche quella organizzazione – la Cgil – vive il travaglio che oggi investe tutte le forme della rappresentanza democratica e, ne siamo certi, nessuno ne è consapevole più del suo gruppo dirigente. Ma quando una organizzazione è vera, non virtuale, per consolidare la propria rappresentatività ha solo una strada: confrontarsi apertamente con i propri soci, chiamarli a responsabilità per verificare con essi le proprie scelte, i principi e gli orientamenti operativi. Anche quando il confronto si dimostri difficile; anche quando possa essere occasione per dar voce ad aree di scetticismo o di insoddisfazione. Anzi, soprattutto in quei momenti.
Molte migliaia di assemblee nei luoghi di lavoro o nelle leghe territoriali, un confronto capillare e di massa con i lavoratori della “Electrolux” e di tutte le altre fabbriche, negli uffici pubblici come nei grandi ospedali, con i giovani precari del nuovo terziario e con i braccianti immigrati, fra i pensionati al limite della sopravvivenza come fra i ricercatori dei più avanzati centri di ricerca.
A taluni può sembrare un rituale antico, troppo distante dai ritmi del “tempo reale”; ma c’è di mezzo il rispetto che si deve alle persone, alla loro soggettività e capacità di giudizio. A ciò non basta un sondaggio, né un “cinguettio su twitter” e neppure un plebiscito in stile primarie.
E’ facilmente prevedibile che lungo questo viaggio il gruppo dirigente raccoglierà sofferenza, critiche, stimoli; ma quella sarà anche – come ogni volta – l’occasione per rinnovare le ragioni di una scelta di appartenenza. Quelle che attengono alla domanda di tutela nella specificità del proprio stato di lavoratore o di pensionato, ma anche le ragioni che significano volontà di appartenenza ad un grande collettivo, trasversale rispetto al genere, alle generazioni, alle categorie, ai livelli professionali; confederale. Un collettivo accomunato dai valori della solidarietà sociale e della lealtà democratica.
Per tutte queste ragioni ci ostiniamo a pensare che il percorso congressuale della Cgil (perché di percorso si tratta, lungo e complesso; non di evento) dovrebbe essere considerato importante per la democrazia italiana nel suo complesso, non solo per gli iscritti all’organizzazione.
Per le stesse ragioni – ci sia consentito – il gruppo dirigente della Cgil deve sentirsi impegnato ad animare il dibattito in piena trasparenza nei confronti dei propri iscritti, ma anche nella consapevolezza delle responsabilità che gli competono verso tutto il mondo del lavoro e verso la politica, le istituzioni, la società italiana nel senso più ampio.
Nella realtà delle cose il congresso in corso è comparso nelle cronache soltanto per la dialettica aspra apertasi nel gruppo dirigente sulla valutazione di un accordo fra Confederazioni Sindacali e Confindustria, sulle modalità di accertamento e certificazione delle quote di rappresentanza delle diverse organizzazioni sindacali, e quindi sulle regole di democrazia nella validazione degli accordi e dei contratti da parte dei lavoratori. Noi, animati dal massimo rispetto per le diverse valutazioni espresse, consapevoli del valore non contingente del tema e autenticamente interessati a che il congresso sappia produrre consensi e adesioni alla confederazione, ci permettiamo di dire che quell’intesa oggetto di valutazioni diverse rappresenta comunque una evoluzione molto rilevante per le “relazioni industriali”. Una svolta nel senso della trasparenza e della democrazia nei luoghi di lavoro, dopo anni di accordi separati, sempre in danno della Cgil e dei suoi affiliati. Sarebbe poco lungimirante svilirla in una cavillosa disputa interna.