Racconti

I genitori

1990 - Il sentiero degli Alpini
1990 - Il sentiero degli Alpini

Dei miei genitori ho un ricordo abbastanza triste e il rimpianto di non avere dato loro quanto loro hanno dato a me. Forse perché sono venuti a mancare presto. Della mamma ho sempre colto il segno della sofferenza. Poche volte ho letto la gioia nel suo viso. Vivere da donna nelle famiglie contadine degli anni cinquanta e sessanta non era semplice. La donna reggeva la casa, ma nell’ambito delle direttive impartite, si direbbe oggi. Lavorare e tacere. I reggitori erano i nonni maschi, fino a quando decidevano loro; i figli e le nuore venivano a distanza. Questo creava una naturale conflittualità che si esplicava in modo geometricamente variabile. Di volta in volta, secondo l’argomento, si creavano alleanze diverse. Solitamente il confronto, a volte le discussioni, avvenivano la sera a tavola. In prevalenza parlavano i maschi, poche volte le donne, mai i bambini. In genere le discussioni riguardavano il lavoro nei campi, l’ansia per il futuro che volevano migliore, i pochi denari che non bastavano per migliorare la loro condizione di vita. A casa mia si avvertiva profondamente l’ingiustizia della mezzadria. Non solo per quello che si doveva dare al padrone: la metà del raccolto, capponi a Natale, conigli a Pasqua, uova e altro, ma per quel sentirsi sottomessi dalla protervia di questo individuo che spesso considerava i contadini persone di cui potere disporre a piacimento, fino alla cacciata. Gli uomini di casa, fra cui mio padre, partecipavano attivamente alle lotte dei mezzadri. C’era la lega e il capolega che portava le circolari e … la domenica l’Unità. Partecipavano a manifestazioni che quasi sempre si concludevano con i caroselli delle camionette e i manganelli della celere. Poi i comizi; piaceva Gian Carlo Pajetta, si parlava con deferenza di Palmiro Togliatti.

Non abbiamo mai patito la fame, ma la cucina era parca. Cappelletti a Natale e Pasqua, minestra nel brodo di carne oppure tortelli con le foglie di barbabietola la domenica, il venerdì si rispettava la vigilia. A Messa gli adulti andavano a Natale e Pasqua, oltre che per i Sacramenti e in occasione dei funerali. Noi ragazzi non siamo mai stati spinti verso la chiesa, ma non siamo mai stati ostacolati nel frequentarla. Cosa che abbiamo fatto con assiduità fino alla Cresima. Poi ognuno in base al proprio sentire.

Il babbo ha avuto una vita molto difficile anche per la salute precaria. La guerra e le sofferenze patite per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi e dei fascisti lo avevano minato nel fisico. La sua vita è stata una continua sofferenza. Faticava nel lavoro dei campi, ma ancor più, quando, smesso di fare il contadino, è andato a lavorare in fabbrica. Alla pesantezza del lavoro e dei ritmi imposti, si aggiungeva il peso dei sorveglianti. Abituato alla vita all’aria aperta, il lavoro in fabbrica è stato per lui un vero e proprio calvario. Io soffrivo del fatto che il babbo non fosse forte come gli altri. Spesso sono stato con lui ingiusto, quasi a colpevolizzarlo delle sue difficoltà e dei suoi malesseri. Di questo porto il rimorso. Solo da adulto ho potuto capire le sofferenze che ha patito, da dove sorgevano e il sacrificio che ha compiuto per dare a noi figli un futuro migliore del suo.

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