Racconti

Amleto Plazzi, i ricordi della guerra 1944 – 1945

Facevo il garzone da contadino quando ad un tratto sentii degli aeroplani volteggiare per aria e che stavano combattendo fra loro.
Uno di questi fu colpito e cadde vicino a casa mia; io curioso andai a vedere cosa era successo.
Quando arrivai sul posto c’erano dei tedeschi i quali stavano dicendo che era un americano.
Il pilota dell’aereo si era lanciato con paracadute ed andò a cadere nel monte della Giovannina.
Quando i tedeschi lo raggiunsero, vedendo che era tedesco, rimasero molto male.

RICORDI DEI FASCISTI E PARTIGIANI
In Via Casolana ed in Via Alberazzo ci fu uno scontro fra fascisti e partigiani; nel combattimento un partigiano fu ferito e scappò rifugiandosi in una casa di Via Casolana e nascondendosi nel porcile.
Il padrone di casa lo trovò ed il partigiano ferito lo pregò di portarlo all’ospedale per essere medicato.
Quando fu guarito il noto partigiano Silvio Corbari lo andò a trovare e se lo riportò in montagna.

Lungo la ferrovia Castel Bolognese – Riolo Terme avvenivano spesso bombardamenti e mitragliamenti dagli aeroplani. In uno di questi un aeroplano a due code fu colpito e cadde nella zona citata.
Io mi trovavo poco distante al lavoro con i buoi ed andai a nascondermi sotto degli alberi per non essere visto e per non rischiare di essere colpito anch’io.

RASTRELLAMENTI DI CASTELLANI E FAENTINI
I tedeschi e la brigata nera avevano avuto ordine di rastrellare i civili che credevano fossero partigiani; entrarono nelle case, arrestarono uomini, donne e bambini e li radunarono a Biancanigo, dove vennero interrogati. I più sospettati sarebbero stati portati a Bologna.
In quel momento sopraggiunse un bombardamento e ci fu un fuggi fuggi generale.
Questa circostanza si rivelò estremamente propizia per i civili che erano stati prescelti, in quanto scapparono e ritornarono a casa evitando così un destino molto poco allettante quale il trasferimento a Bologna, quindi la deportazione in Germania in campi di concentramento.

PALAZZO DI BASTONI A BIANCANIGO
In questo palazzo c’erano i fascisti che lo avevano occupato ed usato come loro sede.
Un giorno il capitano dei fascisti era uscito e poco distante fu fatto prigioniero da alcuni partigiani i quali facendosi scudo dello stesso entrarono nel palazzo e si fecero consegnare tutte le armi.
Il mattino dopo il Resto del Carlino pubblicò che 200 partigiani avevano assalito il palazzo e portato via tutte le armi.

IL MIO PRIMO LAVORO CON I TEDESCHI
Avevo 17 anni ed una mattina, mentre stavo ritornando a casa in bicicletta, fui preso dai tedeschi e fui mandato a casa “La Murena” dove mi diedero un paletto e mi ordinarono di scavare una grande buca dove dovevano nascondere un carro armato.
Mi fecero lavorare tutto il giorno senza bere e mangiare per una simile impresa; finii il lavoro verso mezzanotte completamente sfinito.

17 DICEMBRE, FIUME SENIO
I neozelandesi occuparono il guado sul fiume; i tedeschi, impauriti, minarono le case più alte che si trovavano nei pressi e le fecero saltare.
Il palazzo dei Rossi fu uno di questi; lì si trovavano una mia zia con i due figli gemelli ed altre 22 persone.
Io sentii il rumore dell’esplosione dalla mia casa; mia mamma affacciandosi alla finestra e non vedendo più il Palazzo Rossi urlò che lo stesso era stato distrutto e con angoscia si preoccupò delle persone che lo abitavano.
Solo dopo sapemmo che si erano salvati solo alcuni contadini, fra cui mia zia, perché erano andati a governare le mucche. Essi videro i fili che conducevano alle case coloniche destinate ad essere fatte saltare; li tranciarono salvando le stesse ma non il Palazzo e così si perpetrò quell’orrendo crimine con tanti morti civili innocenti: La giustificazione di ciò non fu mai data.

LA MIA CASA OCCUPATA DAI TEDESCHI
Io ed i miei familiari abitavamo solo in rifugi sotterranei sostenuti da travi di legno messe alla meglio, davanti casa c’era un carro armato coperto di giorno mentre alla notte si spostava sparando granate verso Tebano.
In risposta, gli Alleati, da Tebano, sparavano ancora più massicciamente, avendo più munizioni. Mio babbo, che lavorava fuori, una notte, rientrando, contò fino 300 granate sparate verso la nostra casa, una delle quali centrò in pieno il camino, al chè scappò trascinandoci noi tutti in un rifugio.
Al mattino seguente, ritenendo il rifugio poco sicuro, andammo tutti dai vicini di casa a “La Mara” e ci nascondemmo sotto un pagliaio, ritenendolo più sicuro.
Nel contempo la contadina della casa fu ferita ad una gamba, di conseguenza cambiammo casa di nuovo ed andammo poco distante, da “Ravanera”.
Li c’erano tanti altri sfollati fra i quali la mamma di Nicodemo Montanari (Teresina) sempre con la corona del rosario fra le mani a recitare il rosario.
Una sera eravamo nella stalla vicino all’entrata, a giocare a carte, lei ci chiamò a recitare il rosario appena finita la partita e noi acconsentimmo.
Pochi istanti dopo che ci eravamo spostati per dire il rosario, arrivò una granata che fece volare via la porta e sparire tutto quello che c’era li vicino.
La recita di quel rosario salvò la mia vita e quella di coloro che mi avevano seguito: un vero miracolo.

CONTINUANDO IL LAVORO CON I TEDESCHI
Per 60 notti sono andato a lavorare sul fiume Senio, trasportando legname sulle spalle per fare rifugi nelle case li vicino come Casa Odorino, Madona, la Chiusa, la Casa de Golr.
Una sera mi ferìì ad una gamba, allora i tedeschi presero un mio vicino e lo mandarono al mio posto, ma purtroppo fu colpito da una scheggia e morì.
Guarita la mia gamba mi rispedirono a lavorare senza mai darmi un minimo di paga.
Eravamo quattro persone per quei lavori. Una mattina i tedeschi ne mandarono a casa due e restammo così io ed il Negus.
Il giorno ci facevano rifugiare in uno staletto e la notte sempre al lavoro per tre giorni consecutivi.
Preoccupati il babbo e la mamma vennero a cercarci ma i tedeschi li puntarono con le pistole dicendo che li di civili non ce n’erano e di andarsene alla svelta altrimenti avrebbero sparato.
Noi invece eravamo lì, ma non ci videro. La mamma ritornando verso casa piangente, incontrò un capitano tedesco che le chiese perché piangesse. Mia mamma gli spiegò che il figlio ed un suo amico era in quel posto a lavorare e che da tre giorni non ritornava a casa. Il tedesco si commosse ed andò personalmente a cercarci e a rimandarci a casa. Io non stavo bene, avevo forti disturbi gastroenterici e tanta fame e sete.

IL SERMONE DI NATALE
Per Natale era usanza dire il sermone ma i fascisti lo proibirono. Allora si doveva pregare così:
Ave Maria grazia plena fa che non suoni la sirena,
fa che non vengano gli aeroplani, fammi dormire fino a domani;
se le bombe non mandi giù, se la casa dovesse crollare
fa che io mi possa salvare.
San Giuseppe tra i richiamati tutti gli angeli mobilitati,
l’asino a Roma, il bue a Berlino che scalderà Gesù Bambino.
Per colpa loro ci tocca soffrire o Padre Eterno falli morire,
Hitler e Mussolini come i più vili portali lassù lassù fra i cieli
facci questa grazia e così sia.

11 APRILE 1945
Fu il giorno prima della liberazione di Castel Bolognese. Io ero nella stalla di Ravanera rifugiato assieme ad altre 20 persone, tutti vicini di casa tranne la padrona del podere, ovvero la Contessa Zauli Naldi, che al momento era ricoverata all’Ospedale di Imola per pediculosi, gastroenterite e malnutrizione.
Alla sera Teresina ci riunì come tutte le altre sere per recitare il rosario; non potendo accendere la luce, perché era vietato, andai ad aprire la porta della stalla per far passare un po’ di luce.
Mentre stavo aprendo la metà superiore della porta della stalla mi vidi puntare la canna di un fucile da un soldato polacco.
Alzai le braccia cercando di fargli capire che in casa eravamo tutti civili al chè abbassò il fucile ed entrò. Tirò fuori delle carte geografiche e ci chiese dove fosse la “Casabianca” e poi si fece accompagnare sul posto da Gianni Montanari.
Il giorno dopo 12 Aprile 1945 andai a Castello e con grande angoscia constatai che era tutto distrutto; trovai un gruppo di soldati polacchi che assistevano alla S. Messa officiata da un Cappellano militare davanti alla Chiesa dei Frati Cappuccini.
Non si vedevano più tedeschi e nella confusione mi trovai ad aiutare un gruppo di soldati polacchi a trasbordare delle casse da una casa diroccata su un camion ricevendo come ricompensa un pacchetto di sigarette.
Finalmente per noi la guerra era finita.
Tre giorni dopo prestai la mia opera ai polacchi che andavano a Faenza alla “Cavallerizza” dove c’era un deposito di bombole di gas per caricare le stesse sui camion, scaricandone prima le vuote che venivano dal fronte.
Per questo lavoro prendevo 100 lire al giorno ovvero 3 mila lire al mese.
Una sera, ritornando a casa dal lavoro, prima del Ponte del Castello, vidi 3 persone che camminando nel campo fecero esplodere una mina rimanendo tutti uccisi. La scena mi rattristò moltissimo e feci l’amara considerazione che purtroppo la guerra non era ancora finita.
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Quella che avete letto è la testimonianza di un cittadino che ha vissuto gli orrori della guerra. Sarebbe bello avere tante altre testimonianze da consegnare al futuro. Perché nessuno dimentichi.
Nel passato le ricerche locali hanno riguardato in prevalenza l’ultima fase del Ventennio, ossia la Liberazione.
Credo sarebbe altrettanto interessante disporre e conservare testimonianza di quanto accaduto, a Castel Bolognese nel corso di tutto il ventennio fascista. Fatti di vita vissuta, episodi di cronaca e di costume, come ci si divertiva, i personaggi, le storie.
Avete parenti o conoscenti che si ricordano del tempo del fascismo a Castel Bolognese? Chiedete loro di scrivere qualcosa, se serve, aiutateli. Poi, se volete, inviatemi il contenuto.

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