Escursioni

La cascata del cucchiaio e un territorio che si sfalda

Soggiornando in montagna capita a volte di pensare ad un itinerario non troppo impegnativo, di una mezza giornata. Se siete nel Cadore potete visitare la cascata detta del cucchiaio, per la sua particolare forma. Si trova a Borca di Cadore sul Rio dell’Assola. 

Partendo da San Vito di Cadore si attraversa il Boite e si va per Serdes. Prima della bella frazione, si prende a sinistra verso Villanova. Proseguendo si arriva alla chiesa di Borca di Cadore. Passato il cimitero si imbocca il sentiero Cai 476 e si sale seguendo la carreggiata forestale. Dopo circa 20 minuti, un segnale indica il sentiero per la cascata (1.100 m. circa) che si raggiunge in pochi minuti. 

Il suo salto è di circa 50 metri. Se guardate vecchie foto vedrete che la sua portata era maggiore. Il minore volume di acqua deriva certamente dalla siccità che da alcuni anni sta colpendo anche il Cadore. La lunghezza del percorso da San Vito è di poco più di 5 km. 

Per il ritorno, giunti alla chiesa di Borca, consiglio di salire verso il paese, oltrepassare la statale Alemagna e portarsi sulla bella e panoramica ciclabile delle Dolomiti. In questo modo disegnate un percorso ad anello di 12,5 km con un dislivello di poco meno di 500 metri che percorrerete tranquillamente in circa 4 ore, soste comprese.

La camminata è molto bella. Si possono ammirare le grandi vette – Antelao e Pelmo – ma anche territori dolci, sinuosi caratterizzati da prato – pascolo e bella vegetazione. Le case storiche, ma anche seconde case, sono presenti ma non invasive. Siamo per fortuna molto lontani dal modello eccessivamente antropizzato, ad esempio,  della val di Fassa. 

Altro aspetto ben visibile è, purtroppo, la fragilità del territorio. La zona è franosa, come per altro tutte le Dolomiti. Lo si deve alla propria costituzione, che nessuno potrà modificare. A ben guardare il processo di sfaldamento in corso è senz’altro irreversibile e come tale andrebbe rispettato. Ha poco senso dilapidare risorse in opere di contenimento non finalizzate alla conservazione, bensì pensando a nuovo sviluppo antropico. A nuovo cemento e a nuove infrastrutture dilapidatrici del precario equilibrio naturale. 

La scelta dovrebbe essere quella del rispetto e quindi di non accelerare il processo di dissoluzione in corso. Invece sono ancora lì a pensare alle olimpiadi invernali, a nuovi comprensori sciistici, pur sapendo, fra altro, che oramai da quelle parti non cade più la neve. 

Sono quelli luoghi che ben si accostano alla filosofia – da non ridicolizzare – di una decrescita felice. Ovvero stabilizzare la risorsa turismo, adeguarla alla sostenibilità del territorio e ragionare di più e meglio sulla qualità dei luoghi, sulla loro particolare vivibilità e sulla qualità di vita degli abitanti e degli ospiti. Su valori alternativi alla ricerca del massimo profitto costi quel che costa.  

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