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Perchè abbandonare le chiese di montagna?

Le chiese di campagna, particolarmente in collina e in montagna, stanno facendo una brutta fine. Abbandonate o quasi, assieme ai cimiteri, mostrano il segno dell’incuria non solo di un patrimonio edilizio e architettonico di indubbio valore storico, ma ci parlano di mondi che evolvono in senso negativo. Mi riferisco alla istituzione Chiesa che dovrebbe sapere meglio tutelare se stessa e alle istituzioni civili che dovrebbero conservare la storia delle comunità per dare senso e continuità a ciò che è stato l’Italia nella evoluzione del mondo antico. Un Paese come il nostro che fa della propria storia un simbolo esportabile in tutto il mondo, dovrebbe cogliere il significato storico, morale e sociale della moltitudine di chiese di campagna e conservarlo.

Per secoli e secoli le chiese di campagna, al di là del significato religioso, hanno rappresentato la “piazza” per gli abitanti del territorio ove sorgevano. Il luogo dove ci si incontrava, si discuteva e si programmava la vita degli individui e delle famiglie. Il luogo dove si faceva festa, dove si elaboravano i lutti e dove veniva conservata gran parte della storia documentale delle persone.

Certo, lo spopolamento delle campagne, in particolare delle colline e della montagna, ha mutato profondamente la ragion d’essere di quei luoghi, Però non fino al punto da decretarne la loro fine. I territori, pur con funzioni e modalità diverse continuano ad essere frequentati e vissuti. Allora sarebbe opportuno che anche le chiese mutassero la loro funzione. Se non possono più essere la “piazza” intesa come centro di elaborazione e di vita, potrebbero però mantenere la funzione di vedetta del territorio. Punti di riferimento nel progetto di mobilità delle persone. Tanto più in una fase come questa in cui siamo chiamati a distanziarci.

Spesso le chiese dispongono di spazi che vanno oltre la sfera religiosa, che possono essere abitati da persone e diventare punti di riferimento per aggregazioni familiari e associazioni di vario tipo. Viviamo un tempo in cui un numero crescente di persone è spinto ad invertire la rotta dell’urbanizzazione massiccia che tanti guai ha provocato. Nel corso di questo processo, accade spesso che il primo passo lo si compia nella direzione delle proprie radici, dei luoghi dove si è nati e dei quali per lungo tempo si è sentito parlare.  

E’ questo il tempo di proporsi di fare rivivere quei luoghi e dare loro una prospettiva. Questo però non può essere solo il pionierismo di qualche individuo di buona volontà, certamente utile, ma non sufficiente. Allora perchè non si decide di creare una rete visibile di queste strutture? Non vi è chiesa di pianura, collina o montagna, cimitero o edicola mariana, che non sia ancora raggiungibile a piedi o in bici. Perfino da mezzi motorizzati, se proprio si volesse. E accompagnare questo primo passo con la dotazione risorse economiche finalizzate alla conservazione di queste strutture, in raccordo con la chiesa e con i nuovi gestori.

Ad un progetto di tale portata occorrerebbe destinare risorse economiche certe e impegnative, nel quadro di un prospettiva ragionata, anche di natura economica, oltre che sociale. Ecco quindi un ruolo decisivo dei nostri Enti Locali: comuni, Unioni dei comuni e soprattutto della Regione. In questi mesi siamo chiamati a riprogrammare il nostro futuro. Governo e Regioni sono chiamati a proporre e ad elaborare idee e progetti. E’ quindi il tempo giusto per affrontare questa tematica.

Nel corso del nostro peregrinare in collina, spesso ci incamminiamo verso la chiesa di San Giorgio, nella campagna di Tredozio. A due chilometri dal paese, vi si giunge a piedi (ma anche in auto) lungo uno stradello punteggiato da cipressi e frutti dimenticati. Fino a pochi mesi fa era abitata da due persone e da una famigliola di gatti sul tetto della pertinenza adiacente. Adesso il complesso è completamente abbandonato – anche dai gatti – e posto in vendita dalla Curia. Il suo stato non è buono e il suo destino potrebbe essere praticamente segnato. Metto alcune foto del luogo per testimoniare una situazione comune a mille altre, sulle quali chi ha compiti di governo dovrebbe porsi il compito di intervenire. 

4 commenti

  1. Egregio signor Sportelli,
    in data odierna ci sono stati segnalati alcuni Suoi commenti del 2009-2010-2012, pubblicati sul Suo sito-web, che concernono il Monumento Nazionale ai Caduti per la Bonifica dei Campi Minati.
    In tali commenti si ravvisano alcune gravi inesattezze che siamo chiamati a rettificare. Come di seguito precisato.
    La denominazione esatta è: Monumento Nazionale ai Caduti per la Bonifica dei Campi Minati (e dunque non si tratta di un generico “monumento allo sminatore”).
    Progettista unico di quest’opera architettonica è l’architetto Erminio Pietro Nicolamaria Ferrucci, che ha iniziato a progettarla nel 1979. Il progetto definitivo è del 1983. Le opere di cantiere per la costruzione del monumento si sono avviate a partire dal mese di agosto 1983, e sono terminate nel febbraio del 1984. Il monumento è stato inaugurato in data 15 aprile 1984.
    All’architettura del complesso monumentale, decostruttivista e brutalista, partecipa una scultura in bronzo (L’albero della Pace) progettata e realizzata dal signor Angelo Biancini.
    Certi che Lei vorrà prendere gli opportuni provvedimenti per ristabilire la corretta paternità dell’opera all’interno dei Suoi commenti, La ringraziamo per l’attenzione.
    Distinti saluti,

    Prof. Arch. Erminio Ferrucci – Dott.ssa Arch. M.Giulia Marziliano
    https://ferrucci-marziliano.it/

    1. Controllerò e ristabilirò la correttezza delle informazioni. Sono certo che chi ha segnalato gli errori, fatti in buona fede e dei quali mi scuso, le avrà certamente anche detto che chi scrive è fra coloro che si occupano da anni come volontari della manutenzione del Monumento. Distinti saluti.

  2. Bell’articolo, concordo sul valore di queste chiese, non solo dal punto di vista religioso ; inoltre uno stimolo ad andare a scoprirle e vederle camminando nei nostri fantastici luoghi naturali. Grazie !

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