Si può cambiare passo
La novità c’è, e se si alza un poco lo sguardo sopra il pelo dell’acqua, la si può vedere.
Nel corso degli ultimi mesi si è andata sempre più affermando l’esigenza di una nuova teoria economica, e quindi di una visione della società diversa dal pensiero liberista che ha egemonizzato gli ultimi decenni. Questa consapevolezza ha impetuosamente travalicato i confini ristretti di alcuni circoli di economisti ed intellettuali eterodossi: i soliti Stiglitz, Shiller, Krugman; la critica del pensiero liberista e dei suoi fallimenti è diventata nettamente prevalente nel discorso pubblico. I verdetti delle agenzie di rating lasciano sempre più spesso indifferenti perfino i mitici mercati. Il vincolo del pareggio di bilancio perseguito, necessariamente e soltanto, attraverso i tagli e la deregulation, si sta rivelando per quello che è: un’agenda ideologica. Ecco la novità; e non è novità di poco conto.
Eppure la politica, come tutte le istituzioni che presiedono al governo dell’economia, è ad un punto di stallo. Non soltanto la politica italiana, gravata di tante peculiari complicazioni. Si pensi all’Europa, al senso di vuoto che trasmettono le altisonanti dichiarazioni stampa -tutte uguali- con cui si concludono i reiterati summit europei. Perfino decisioni in sé di carattere espansivo come l’ulteriore taglio dei tassi deciso dalla BCE di Mario Draghi, non dissipano il dubbio che si tratti di un tentativo un poco alla cieca di sostenere la crescita, anche a rischio di deflazione. E, per stare a noi, si pensi al rito esoterico che si sta celebrando in questi giorni sulla legge di stabilità.
Sia chiaro: nessuna sottovalutazione né qualunquismo; anche un solo euro sottratto alla rendita, all’evasione, all’uso speculativo per essere destinato a sostenere l’apparato produttivo e l’equità sociale, è una conquista. Molte delle sollecitazioni critiche che in questa fase i sindacati e le associazioni delle imprese rivolgono a Governo e Parlamento sono giuste e vanno sostenute. Ma stiamo pur sempre parlando di “aggiustamenti al margine”. La contingenza non consente molto più di questo, ma l’orizzonte non può dissolversi nella quotidianità.
Ha scritto di recente Laura Pennacchi: “…per combattere più efficacemente le divergenze di competitività e produttività fra paesi, la linea dell’austerità in Europa va sottoposta a una rivoluzione e non a semplici aggiustamenti: va perseguito un New Deal europeo.” E Silvano Andriani: “…la politica economica deve avere per obiettivo, non la competitività, ma la piena utilizzazione delle risorse, a cominciare dal lavoro….la missione riformista dello sviluppo va recuperata.”
Ecco il punto cruciale; ecco la questione che si pone oggi alla sinistra italiana ed europea! Nulla si costruisce dall’oggi al domani, ma le opportunità vanno colte; e alcune opportunità si prospettano: le elezioni ormai prossime per il Parlamento Europeo, e il Congresso, in corso, del principale partito della sinistra italiana.
Per quanto riguarda la fondamentale scadenza delle elezioni europee, ci limitiamo a manifestare, in questa sede, la grande preoccupazione che essa possa invece diventare occasione per amplificare le tendenze distruttive che si manifestano in molti dei paesi della UE: populismi, nazionalismi, particolarismi di varia specie. Occorrerà ritornare sull’argomento con la dovuta attenzione e sperando non sia troppo tardi.
L’attualità ci richiama con più attenzione al Congresso del PD. In che misura le questioni sopra poste ne costituiscono effettivamente l’agenda? Che partito serve per sviluppare quelle analisi e dare corpo a strategie adeguate, contribuendo così a rinnovare anche la sinistra europea?
Serve, a nostro avviso, un partito che sappia produrre cultura politica e proposte, a tutti i livelli. In questo senso, un partito insediato nella società e organizzato per raccoglierle e sostenerle.
Fra le proposte in campo l’idea renziana del partito “tripartito” -i circoli per il “confronto” con i cittadini, gli amministratori per “decidere”, i parlamentari per “dettare l’agenda”- ci pare francamente la più inadeguata e deviante. Né ci convince l’atteggiamento da “grillo parlante” di chi vuole distinguersi per il maggior tasso di ostilità alle larghe intese, come se non sapessimo tutti quale travaglio ha determinato l’attuale congiuntura, oggi priva di alternative credibili nell’immediato. Il compito storico che abbiamo di fronte è quello di rileggere la società contemporanea “da sinistra”, riscrivere gerarchie di valori e priorità per i prossimi decenni.
Quanto meno dare avvio a tale impresa, avendo come scenario l’Europa e il mondo. Conseguentemente la leadership che ci serve deve essere motore di una ricerca collettiva di grande spessore culturale, altro che candidato “sindaco d’Italia”! C’è da formulare e diffondere un pensiero nuovo, non da asfaltare la circonvallazione. Se proprio si deve trovare la parola chiave a cui ispirare il dibattito congressuale, essa non può che essere “autonomia”.
Giuseppe Casadio Roma 15 novembre 2013