100 anni dal PCI, ho fatto parte di quella famiglia
Ieri sera ho ascoltato con piacere l’intervento di Massimo D’Alema sul tema del Centenario della nascita del PCI. Mi è parso di tornare indietro e ho rivisto tempi intensi e belli. Mentre D’Alema parlava di se, ho ricordato la mia prima tessera dei Pionieri a 13 anni. Fui coinvolto dagli amici del Bar Senio di Cotignola, che avevo preso a frequentare appena arrivato in quella città.
A diciotto anni la tessera della FGCI.
Ci sentivamo già grandi, allora. Ricordo gli incontri e i cineforum organizzati assieme ai giovani della DC. Eravamo competitori accaniti, ma ci cercavamo. Ragionavamo su modelli di società profondamente diversi, entrambi cercavamo di affermare l’egemonia del nostro credo, ma l’arma era quella del confronto, del ragionamento, del convincimento. La democrazia.
Poi a ventuno anni la prima tessera del PCI.
Entrai nel consesso dei grandi, delle persone più anziane che ascoltavo con profondo rispetto. Fu allora che imparai la disciplina di un grande partito di massa. L’idea della conquista del potere per mezzo del consenso popolare. La difesa delle persone meno abbienti, la ricerca di un rapporto coinvolgente con i ceti medi, il lavoro per estendere fra loro l’influenza del Partito e quella delle Associazioni di massa orientate verso la missione del PCI.
D’Alema, parlando della crisi della democrazia, ha ricordato esserne due le cause principali: l’aumento delle diseguaglianze e la crisi dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazionismo). Ponendo in risalto come la crisi dei corpi intermedi, prosciughi la scuola della militanza e della formazione dei quadri dirigenti a tutti i livelli, a partire dalla politica.
L’analisi di D’Alema è fondata. I Partiti con una base radicata sono oramai spariti. I sindacati si stanno trasformando prevalentemente in aziende di servizi. Il mondo associativo che da rappresentanza agli interessi settoriali è in crisi profonda. Cito due esempi che vivo di persona.
Oggi milito nel PD, il partito che ha accolto l’eredità morale del PCI e constato come nel paese in cui abito, Castel Bolognese, questo sia letteralmente sparito.
Il PCI a Castel Bolognese vantava molte centinaia di iscritti ed è stato per decenni culturalmente egemone. E’ triste constatare come di questa esperienza a livello organizzativo non sia rimasto più nulla. E quel che è più grave è che tutto tace.
Rappresento per via di alcune associazioni interessi nel campo ambientale e socio-culturale.
Trattiamo almeno da dieci anni temi riguardanti beni comuni che riscuotono un largo interesse e che creano partecipazione attiva. Nostri interlocutori privilegiati sono il mondo della politica e le amministrazioni. Ebbene ciò che constato dopo dieci anni è che, salvo qualche lodevole eccezione, la volontà di interloquire fattivamente con le istanze rappresentate, di dare uno sbocco mediato ed elaborato, è quasi pari a zero.
Potete bene immaginare quale sia stata l’amarezza che ho provato, provenendo dall’esperienza del PCI, quando mi è capitato di sentirmi dire che non essendo votato, non ho titolo per sostenere quegli interessi. Oppure quando, scusandomi con l’interlocutore per i tanti incontri richiesti, invece di risposte nel merito mi si è detto che “una riunione non si nega a nessuno”.
Il tema del nutrimento, del rispetto e del coinvolgimento dei così detti corpi intermedi – partiti, sindacati, associazionismo – è quello a mio avviso da cui la sinistra deve partire per avere poi la forza di affrontare il grande tema della diseguaglianza, ma anche quello oramai ineludibile dell’ecologia per la salvezza del pianeta.
A quel che resta della politica il compito di ascoltare e di agire, a chi opera e rappresenta istanze di bene comune per mezzo dei corpi intermedi il compito di dare voce alla domanda: come e cosa facciamo per tornare ad essere ascoltati?