Politica

Perchè non dovrei fare politica?

A volte mi sento dire – e quando non me lo dicono mi viene fatto capire – che nell’esercizio delle mie piccole attività sociali faccio politica; in qualche caso, lasciandomi intendere che non dovrei.

Sono un cittadino semplice. Sto spendendo la terza fase della mia vita dedicandola al volontariato (autista della Misericordia da 12 anni, autista di pedibus, circolo) e all’animazione di due Associazioni: una culturale (la Pietro Costa di Castel Bolognese) e una di volontariato (gli Amici del Senio). Per volontà mia – e a scapito anche di qualche dissapore familiare – mi dedico praticamente a tempo pieno a queste attività.

Non solo dedico a queste attività quasi tutto il mio tempo, ma gli dedico anche denaro. I mille e forse più Km all’anno che percorro, il telefono, la cancelleria e tanto altro sono tutti a carico mio.

Faccio tutto questo perchè mi piace – e ci mancherebbe – ma anche perchè penso sia doveroso che un pensionato – quale io sono – faccia qualcosa per il bene comune. Per gli altri. Per coloro che con il loro lavoro pagano la mia pensione. Da questo concetto tengo fuori ciò che dedico ai miei familiari (tutto quello che serve, naturalmente ricambiato quando sono io ad avere bisogno), ritenendolo atto dovuto, da non fare pesare.

Naturalmente alle cose che faccio affido un significato. Tento di caricarle di contenuti. Contenuti che vanno nella direzione dei principi a cui mi ispiro. Quelli dell’eguaglianza, del lavoro, della solidarietà, dei diritti, della libertà e della democrazia. So bene che in questo modo faccio politica. E quindi non dovrei? Ma per quale ragione? Per la ragione di non disturbare “il manovratore?”. E’ questo che si vorrebbe dalle tante persone che agiscono come io agisco?

Io non credo che la condizione per essere legittimati a “fare politica” sia solo quella di effigiarsi di simboli, presentarsi alle elezioni e parlare solo se si è eletti. E fuori da questi requisiti, accondiscendere in silenzio alla condizione imposta da “chi è deputato a fare politica”. Quella a me pare sia una deriva vagamente totalitaria alla quale non aderirò mai.

Ho studiato poco, ma quel tanto per capire che tutto ciò che attiene la formazione delle decisioni di governo è politica. E se in democrazia, il governo è esercitato dal popolo, è il popolo, quindi ognuno di noi, senza distinzioni, a custodire lo scettro della politica. Quindi, anche per una persona senza investitura fare politica non è lesa maestà.

2 commenti

  1. Dal momento che uno è cittadino (polites) deve per forza occuparsi di politica: di ciò che attiene la città nella quale egli vive ed abita, e che attiene al governo della città-stato o polis. Sennò non è cittadino ma suddito. Tutto il resto sono chiacchiere da …. volgo analfabeta.
    Dalla stessa radice (πόλις, pόlis, “città-stato”) derivano anche il sostantivo polī́tēs (πολίτης, “cittadino”) e l’aggettivo polītikós (πολιτικός, “politico”).
    Poi tra il cittadino “politico” puro che ha a cuore il bene comune super partes ed cittadino politico “partigiano” che ha a cuore il trionfo di una “parte” indipendentemente dal complessivo, ce ne passa. Ma questi sono altri e troppo lun ghi discorsi.

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