Congresso del Pd, basta sgambetti
Con l’avvicinarsi del congresso, si ha l’impressione che la principale preoccupazione all’interno del Pd, con poche eccezioni, sia quella, da parte di ognuno, di azzoppare i propri competitori. Solo Berlusconi sarebbe contento del protrarsi di questa situazione.
Nel vasto panorama del Pd, su questo tema, nessuno è senza peccato. Ognuno però, giunti al punto in cui siamo, è bene che rifletta. A tutti i livelli, da quello nazionale a quello del circolo più piccolo.
Il primo dovere che abbiamo di fronte, noi elettori e militanti del Pd, sarebbe quello di ricreare un clima di civile convivenza fra di noi. Per fare questo dovremmo aprirci, lavorare per abbattere le barriere che abbiamo creato, abbassare ponti, tornare a dialogare e a confrontarci serenamente.
L’8 dicembre avranno luogo le primarie per scegliere il segretario nazionale del Pd. Questo mi pare assodato, come pure il fatto che, prima di quella data dovranno essere svolti i congressi provinciali. Entro l’11 ottobre dovranno essere presentate le candidature nazionali.
Al momento i papabili sono quattro: Civati, Cuperlo, Renzi e Pittella. A me paiono tutte persone capaci e degne, peccato non registrare nessuna candidatura di donne. Un vero peccato.
I concorrenti dovranno fare in modo che il dibattito congressuale si sviluppi sui temi canonici per un congresso di partito. Quali sono questi temi? Sicuramente due: analizzare il prevedibile sviluppo della società nei prossimi venti anni in base al quale definire gli obbiettivi e la strategia di lungo respiro del partito; definire la forma e il ruolo del partito come strumento di parte volto ad affermare i principi e gli obbiettivi definiti.
Sarebbe sbagliato a mio avviso un dibattito fossilizzato su Berlusconi e sul governo odierno. Certo, il tema del governo non potrà essere eluso completamente, ma la sua chiara caratteristica di provvisorietà fa si che non possa essere un elemento centrale del dibattito. Questo governo potrà restare in piedi fino alla prossima primavera, o a quella successiva, se i suoi deliberati potranno essere il frutto di un vero compromesso fra le forze – per natura alternative fra di loro – che lo compongono. Compromesso vuol dire che ognuno deve cedere qualcosa rispetto i propri principi e che nessuno ponga bandierine di partito sulle scelte.
Il congresso provinciale dovrebbe ricalcare più o meno questo schema. A Ravenna sarà un appuntamento molto delicato in quanto negli ultimi anni si è ampliata la forbice a favore di chi reclama un profondo cambiamento. La speranza e la fiducia è che anche a Ravenna ci siano parecchi candidati alla carica di segretario e che non ci sia alcun patto preventivo compromissorio e spartitorio fra gli ex comunisti e gli ex democristiani.
Credo che il confronto di fondo e più duro debba essere sul partito, sul suo ruolo e sulla sua funzione. Penso che l’obbiettivo principale sia quello di decidere che il partito, anche in provincia di Ravenna, debba riprendersi la propria piena autonomia rispetto al potere economico e a quello amministrativo. Da troppe parti è radicata l’idea che il partito siano gli amministratori. Quindi gli amministratori che comandano e il partito che porta acqua. Bisogna chiudere rapidamente questa troppo lunga fase. Bisogna ragionare sul fatto che i ruoli sono molto diversi. Chi dirige il partito lo fa per una parte della società e per obbiettivi ben definiti; chi amministra invece deve per sua natura guardare al complesso della società e delle sue articolazioni sociali, economiche e politiche. Il partito, anche a Ravenna, deve riprendersi la sua autonomia.