Politica

Spostarsi a sinistra

di Rino Gennari

Con una mia nota diffusa a cavallo della fine di gennaio e l’inizio di febbraio, prima di ipotizzare i possibili sbocchi dell’esito elettorale, delineati tenendo conto in linea di massima dei dati dei sondaggisti, i quali sondaggisti, come poi abbiamo visto, vanno annoverati tra gli sconfitti, avevo affermato di sperare che l’esito elettorale non determinasse una situazione di stallo. Invece è quello che è successo. Su come cercare di uscirne positivamente, vedrò di dire qualcosa anch’io più avanti in questa nota.
Sul risultato elettorale delle varie forze in campo e sui fattori che lo hanno determinato, molti ormai hanno maturato una loro opinione, forse non ancora ben definita ma in via di perfezionamento, anche con l’aiuto della discussione collettiva e degli approfondimenti degli esperti ai più alti livelli.

I dati sono noti e il quadro politico pure. Nella corsa all’indietro, il PD si è fermato un poco prima del PDL e per uno 0,4% si è aggiudicato il premio di maggioranza alla Camera. Il M5S ha ottenuto un successo strepitoso. Monti è stato sconfitto in misura tale da rendere impraticabile una alleanza autosufficiente con il centro sinistra e, a maggior ragione, con il solo PD. E’ così scongiurato il pericolo di un governo stabile ad egemonia montiana, il quale, secondo la filosofia di Monti, si collocherebbe su un piedistallo sovrastante il Parlamento, ferendo gravemente l’equilibrio dei poteri stabilito dalla Costituzione. Il governo degli ottimati, o dei sapienti. Il voto ha inoltre detto a Monti che destra e sinistra esistono e si manifestano anche nel risultato elettorale.
Per quanto riguarda i dati, essi ci hanno squadernato davanti agli occhi lo sconquasso nell’assetto del quadro politico che qualcuno aveva ipotizzato già pochi mesi dopo l’insediamento di Monti, insistendo sulla necessità che SEL riflettesse sul suo posizionamento, sul suo ruolo nel centro sinistra e sul suo rapporto con il PD. Anche per il PD si poneva il problema di fare i conti con il prevedibile sconquasso. Tutto questo non è successo. Si è giunti, attraverso una rapida successione di passaggi, almeno per SEL decisi centralmente in una cerchia ristretta, a definire una alleanza tra PD e SEL, sulla base di una Carta di intenti molto insoddisfacente, alla quale avrebbe dovuto seguire la definizione di un programma dell’alleanza, il quale però non si è mai visto. Per cui si è andati alle elezioni con un programma di SEL complessivamente quasi soddisfacente, che però non ha mai “bucato”, e con un programma del PD fotocopia della Carta di intenti, quindi senza un programma vero, cosa che aiuta a spiegare il perché del farfugliamento di questo partito su cosa intendeva fare una volta giunto al governo.

Esempio: Bersani ora afferma che è necessario rinegoziare con l’Europa importanti e soffocanti impegni economici e finanziari. Meglio tardi che mai, ma doveva dirlo prima, e forte. Nello stesso tempo il PD non ha visto la grande onda di malcontento che si alzava nel paese contro il governo Monti e anche contro la classe politica del centro sinistra e, conseguentemente, non ha avviato un chiaro processo di sganciamento politico da Monti, necessario almeno a partire dall’autunno 2012. Non solo. Ha continuato a corteggiare Monti, associandosi così a lui come bersaglio del malcontento popolare. Il PD non ha capito gli elettori e non ha capito Monti. C’è da chiedersi se è attrezzato per capire. Per cui ha preso le botte da Grillo (vedremo meglio poi) e noi assieme a lui. Nella costruzione del rapporto tra i due partiti dell’alleanza, SEL ha combattuto poco e male, con grave danno per se e per il PD e, in fondo, anche per il paese.

Per aiutarci a capire cosa cercare di fare per uscire con il minor danno dalla situazione attuale e possibilmente con vantaggio, forse è utile valutare i dati elettorali anche da un punto di vista finora trascurato.
Se prendiamo i voti espressi da elettori “cui piacerebbe cambiare l’Italia nell’assoluta fedeltà a ideali di giustizia sociale, di difesa dei deboli, di equilibrio nella distribuzione del denaro e dei privilegi, insomma ai principi della sinistra” (Baricco) con l’aggiunta della moralità, trasparenza e sobrietà delle forze politiche e delle Istituzioni, rispetto al 2008 questi voti sono sensibilmente aumentati in termini assoluti e percentuali.

Con un calcolo grossolano, calcolando tra questi elettori quelli del centro sinistra, quelli delle liste più radicali e circa il 70% dei voti ottenuti dal M5S, si raggiunge quota 17 milioni circa pari al 50% dei voti validi, più 1 milione e mezzo e più l’8% rispetto al 2008. Un rilevante spostamento verso la sinistra sostanziale. Un arretramento forte dell’area dominata dalla “cultura” berlusconiana, la quale ovviamente non copre tutto il restante 50%. E’ un voto che, se nella sua concreta configurazione partitica o di lista, crea gravi problemi per la formazione di un governo stabile, chiama però con forza risposte di sinistra. Perché inserire il 70% dei voti ottenuti dal M5S in questo campo? Oltre ai molti punti condivisibili e di “sinistra” del programma di questo Movimento, si veda l’elaborazione del “Cattaneo” sui flussi registrati in nove città importanti. Risulta chiaramente che oltre il 70% dei voti ottenuti dal M5S, proviene dal centro sinistra, dall’estrema sinistra e dal non voto, che nel 2008 era prevalentemente di elettori scontenti del centro sinistra. Se nel valutare il fenomeno M5S si usa la sola categoria del populismo, si imbocca una strada che non aiuta a capire. Tra l’altro, così facendo si dovrebbero sommare i voti del M5S con quelli del PDL. Avrebbe senso?
A questo punto va esplicitata una valutazione importante.

La classificazione nell’antipolitica degli elettori che non votano per i partiti tradizionali è sbagliata. E’ prima di tutto un errore di presunzione, in quanto chi, appartenente a questi partiti, sostiene questa tesi, pretende di identificare la politica con questi stessi partiti, tra l’altro trascurando il fatto che la politica va ben oltre l’area dei partiti, tradizionali o no. Chi non vota i partiti tradizionali non è contro la politica. E’, a ragione o a torto, contro la politica o la non politica di questi partiti. E’ ora che i partiti del centro sinistra capiscano questo dato e da esso traggano le conseguenze.

Detto questo, nella situazione che si è creata cosa fare?
Spostare nettamente a sinistra l’asse programmatico del centro sinistra.
Rivolgersi in Parlamento soprattutto agli eletti del M5S.
No ad un governo di larghe intese. Se il PD andrà in questa direzione si accomodi, senza SEL.
No a governi di salute pubblica, tecnici, del Presidente o altro, sostenuti sia dal centro sinistra e dal PDL.

Avviare nell’area del centro sinistra un processo di ristrutturazione politica, organizzativa e partitica da portare avanti dal basso e dall’alto, che si proponga come rappresentanza aperta di quell’elettorato già oggi maggioritario che chiede un profondo cambiamento, specialmente nel modo di produrre la politica. Un cambiamento verso sinistra.
Condurre assieme alle altre forze progressiste europee, una efficace battaglia per cambiare l’Europa.

Mi riservo di analizzare i dati elettorali locali, muovendo da questo contesto. Spero di riuscirci.

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