A proposito delle dimissioni di Ratzinger
Giuseppe Casadio
L’inedito evento delle dimissioni del successore di Pietro merita, di per sé, tutta l’attenzione che l’opinione pubblica planetaria e il sistema dei media gli hanno dedicato e gli dedicano. Per tutte le molte e diverse ragioni che emergono nell’insieme dei commenti che è dato leggere e ascoltare.
Soltanto un tipo di reazione, proveniente da qualche laico credente, suscita perplessità; mi riferisco all’ostinato stupore per la decisione di Ratzinger, che per taluni diviene quasi rifiuto della realtà, del tipo “questo non può essere; ci sono cose non si possono fare perché in sé inconcepibili”.”Dalla croce non si scende” è stato detto significativamente. Reazione che testimonia di una difficoltà anacronistica a vivere con spirito laico l’appartenenza religiosa, come ha ben argomentato a più riprese in questi giorni Vito Mancuso. Questo giudizio, anche, è opportuno e utile esplicitare in premessa, senza che suoni irrispettoso per la coscienza di alcuno.
Come spero si comprenda anche da queste prime considerazioni, si intende qui sollecitare qualche riflessione non occasionale e non di circostanza. Noi laici non possiamo limitarci a manifestare un pur doveroso, ma alla lunga stucchevole, omaggio al coraggio e alla volontà di trasparenza manifestati da Ratzinger in questo frangente, e il rispetto per il suo travaglio. Chi siede sulla “cattedra di Pietro” è chiamato ad esercitare poteri e responsabilità massimamente influenti sulla vita degli uomini e dei popoli, ben oltre gli appartenenti alla comunità ecclesiale. Perciò la questione oggi aperta, la sua evoluzione prospettica, interroga tutti; di certo i fedeli, ma non soltanto loro. Anche la chiesa cattolica e ciascuno dei suoi fedeli, come ciascun uomo e ciascuna comunità del pianeta, hanno di fronte una questione ineludibile e più di altre dirimente nella attuale fase storica: come conciliare globalità e identità, affinché questa antinomia non sia foriera di conflitti, di lacerazioni, di cedimento all’integralismo come filosofia di vita, come weltanschauung.
Si dirà che questa è questione di sempre nella vita degli uomini, ma non può esservi dubbio che essa è ancor più urgente in un tempo nel quale, più che mai in passato, ciascuno è costantemente confrontato con tutto il mondo; in cui non è più possibile restringere il raggio della propria vita o del proprio pensiero nell’ambito rassicurante di una sola comunità, statuale, culturale, ideologica o religiosa che sia. Un tempo nel quale, per questa ragione inesorabile, o si è temprati al confronto dialogico, o la deriva verso il conflitto – che non è solo la guerra guerreggiat – può venir percepita quasi come una necessità. E non mi pare ci sia bisogno di indicare concretissimi esempi di ciò, desunti dalle cronache quotidiane del nostro tempo; ciascuno li ha davanti agli occhi.
La chiesa conciliare tematizzò la questione, con la concettualizzazione giovannea della “distinzione fra l’errore e l’errante”, ma la vicenda successiva – che qui non si intende affatto analizzare in dettaglio, per l’inadeguatezza di chi scrive oltre che per la vastità del tema – non ha condotto a conclusioni stabili e sistematiche. C’è una vastissima letteratura prodotta in questi ultimi decenni sugli sviluppi compiuti e su quelli mancati del Vaticano II°. Fatto sta che, dopo il pontificato “pesante” di Wojtyla, il papa-teologo Ratzinger, attraverso i suoi primi atti, sembrò riprendere in mano quella questione, ma con un approccio che molti considerarono – con ragione, a mio avviso – regressivo, cioè preoccupato di ripristinare agli occhi del mondo i confini dell’ortodossia piuttosto che gli spazi della contaminazione e della ricerca comune.
Il discorso di Ratisbona fu solo una ingenuità nella retorica espositiva (come alcuni sostengono oggi)? C’è da dubitarne, anche alla luce del secondo viaggio in Germania, di molto successivo, durante il quale Ratzinger corresse Ratisbona nel senso di grandi aperture alla chiesa riformata, all’ebraismo, anche all’islamismo, ma non ai non credenti. Cioè spostò il confine, ma non abbatté il muro. La stessa pratica, pregevole e meritoria, del “cortile dei gentili” solo in qualche appuntamento è stata dedicata in questi anni al dialogo fra credenti e non credenti, questione che non può essere sussunta nel dialogo inter-religioso. Per non avventurarsi nella interpretazione della ricorrente polemica sul “relativismo”, tema di sfida positiva anche per i laici – come ha di recente scritto Mario Tronti -, ma anche terreno su cui possono mettere radici integrismi pericolosi.
In questi ultimi giorni, metabolizzata la sorpresa per la decisione di Benedetto XVI°, quasi tutta l’attenzione è dedicata ad interpretare la forte e visibile dialettica interna alla curia, i suoi possibili esiti in termini di assetti di potere. Ciò è comprensibile, poi che nessuno potrebbe ormai celare l’intensità e la radicalità del confronto interno, aperto su più fronti e certificato dalle parole stesse di Ratzinger, oltre che implicito nella sua decisione. Tuttavia chi osserva con sguardo consapevole ed interessato, seppure esterno alla comunità ecclesiale, vorrebbe capire anche quali siano le opzioni a confronto dal punto di vista del pensiero, quali concezioni del mondo si misurino dentro le mura leonine in queste ore. Decifrare il senso del braccio di ferro sullo IOR ai fini dei più generali assetti di potere è certamente importante, ma forse, di per sé, non dice molto sul peso che il prossimo papato potrà avere ai fini di edificare un mondo più giusto e più accogliente per tutti coloro che lo abitano. Tutti. E c’è bisogno anche, a me pare, che esponenti autorevoli del pensiero laico rivolgano con il dovuto rispetto, ma anche con voce alta e senza subalternità culturali, queste domande al sacro collegio, poi che al pensiero laico non dovrebbe bastare la rassicurazione che sarà lo spirito santo a ispirare la scelta migliore. Non per condizionare od interferire, ma per capire.
Roma 16 febbraio 2013
Articolo impegnato. Per conto mio mi riservo di scrivere quaalcosa nel mio sito su alcune posizioni di Ratzinger.
Per ora mi limito a dire che, come non credente, non discuto di fede con i credenti, ma solo, e non è poco, su tutto il resto, e in modo che resti fuori ogni elemento che non regga alla prova della razionalità