L’asfaltatura della via Biancanigo ha risolto un problema molto sentito dai castellani, ma sopra tutto dai cittadini della vallata che la percorrono per eludere i semafori della via Emilia. E’ avvenuta un poco a sorpresa. Pareva non ci fossero soldi, poi il patto di stabilità. Invece, l’amministrazione comunale è riuscita nell’intento. Cosa ci dice questa tormentata storia? Diverse cose.
Intanto, che i lavori pubblici realizzati da privati, senza i vincoli delle procedure pubbliche, costano molto meno e si fanno più in fretta. Per questo intervento non c’è stato un’appalto pubblico dei lavori. Se non erro, il meccanismo è stato questo: il comune ha ceduto al privato suoi diritti, il privato, invece di pagare cash, ha pagato in natura. Ossia, svolgendo lavori che saranno tecnicamente avvenuti sotto il controllo dell’ufficio Lavori pubblici del comune stesso. Se ho ben capito, il valore convenzionale dei lavori è stato fissato attorno a 120.000 euro. Se ci fosse stato un appalto pubblico, ritengo che la comunità avrebbe speso almeno il doppio. Da rilevare poi come quel lavoro sia stato realizzato in una settimana. Un tempo davvero limitato solo se si pensa all’anno o forse più, se non ricordo male, di via Giovanni 23°. D’accordo, i lavori non sono equiparabili, ma la differenza è davvero ragguardevole.
In secondo luogo si è fatto giustizia di una curiosa favola metropolitana. Per decenni, e fino a pochi mesi fa, si è sostenuto che in via Biancanigo non si potessero elevare dossi alfine di contenere la velocità eccessiva dei mezzi in transito. Per la ragione, davvero strana, che “passavano i mezzi di soccorso”. Improvvisamente sono comparsi tre passaggi pedonali rialzati. Quindi la favola ha cessato di esistere. Quella adottata è stata una soluzione certamente appropriata allo scopo. Una soluzione altrettanto decisiva, però meno impattante sui mezzi, avrebbe potuto essere il ricorso a disassamenti della sede stradale. Un altro tabù caduto è stato l’idea che non si possa asfaltare, se non fa caldo.
Dispiace che non si sia trovato il modo di dare continuità alla pista ciclabile, lato Bangela. Poteva essere collegata con quella lungo la via Emilia e/o con il vialetto di viale Roma. Un modo, parziale, ma abbastanza efficace, avrebbe potuto essere anche solo quello di restringere la sede stradale per gli automezzi, delimitando la carreggiata con la riga continua. Una soluzione tipo Naviglio, dove centinaia di ciclisti ogni giorno, sono protetti da quella soluzione. Si è invece scelto di concedere tutto lo spazio alle auto. Addirittura con il paradosso che chi parcheggia a fianco dell’ex ospedale, l’eventuale trasportato (v. foto), non può uscire dall’auto, se non scavalcando il posto di guida. Quando, se non erro, fra l’auto e il confine delle abitazioni deve esserci almeno un metro, come peraltro attuato nella parte a monte di via Biancanigo. Insomma, per un tratto di strada si è pensato agli utenti deboli (pista ciclabile, rotonda, tanti attraversamenti di cui tre rialzati, spazio fra le auto in sosta e le abitazioni), mentre nell’altro tratto il concetto è stato esattamente l’opposto. Almeno così può sembrare.
Naturalmente, in questo settore di attività non c’è eventuale errore che non possa essere corretto. Penso quindi che dopo l’opportuna sperimentazione le imperfezioni potranno essere ragionevolmente riviste.