Marchionne
Domenica sera ho ascoltato con attenzione Marchionne. Mi sono fatto l’idea che nei prossimi anni dovremo fare i conti con quello che ha detto. Quindi sarebbe meglio cercare di ragionare, più che inveire. Intanto, ha detto molte cose ovvie e nemmeno tanto nuove. Nel mio lavoro di sindacalista, spessissimo ho ascoltato dirigenti e imprenditori (Gellini, Sutti, Alpi, Harringher e tanti altri) pronunciare quei discorsi. In molte trattative abbiamo dovuto fare i conti con quei problemi.
La competitività e la redditività delle aziende, la produttività e la flessibilità del lavoro sono stati temi costanti nel dialogo fra lavoratori, sindacati e imprese. Spesso ci siamo trovati di fronte a delocalizzazioni di produzioni o ad acquisizioni di aziende che sembravano potere limitare il potere contrattuale dei lavoratori della casa madre. E spesso era così. Si discuteva, ci si scontrava, ma alla fine tutto si teneva, perché l’azienda nel suo insieme si rafforzava.
Sul tema della produttività ricordo quando l’Alpi di Modigliana ci pose il problema di un tasso di assenteismo degli operai che nelle stagioni dei lavori di campagna superava il venti per cento (come alla Fiat di Pomigliano il giorno della partita). Il problema era evidente, ma ostico da affrontare con i lavoratori. Il sindacato si assunse la responsabilità di legare contrattualmente parte del premio di produzione alla presenza in fabbrica (meno assenze, più salario). Discutemmo molto con i lavoratori; alla fine approvarono l’accordo. Nel giro di pochi mesi l’assenteismo si attestò su livelli normali.
Anche il tema degli aiuti di Stato è trito. Da che mondo è mondo le istituzioni hanno sempre cercato di allettare le aziende a insediarsi nel loro territorio, con aiuti concreti di vario tipo. Vogliamo citare un piccolo esempio? La fortuna industriale di Castel Bolognese è dipesa da questo. Da che mondo è mondo le aziende maggiori sono state aiutate dallo Stato per fare fronte a gravi crisi. La ragione è persino ovvia e in questo non vedo scandalo o terreno per ripicche.
Mi chiedo poi, se Marchionne denuncia l’impazzimento del paese, quanto è lontano dalla realtà? Quanto è lontano dalle critiche avanzate da Confindustria e, per altri versi, dai sindacati?
Marchionne in realtà sbaglia quando elude il tema dell’auto e dei mercati. Come può pensare di produrre in Italia i modelli che produce in Polonia dove sfrutta un costo del lavoro nettamente inferiore? In Italia deve produrre modelli maggiormente redditivi. Ecco allora il tema della qualità dei suoi prodotti e dello sviluppo della ricerca per aggredire fascie di mercato non attratte da Fiat.
Penso che con Marchionne occorra discutere. Credo sia giunto il momento, in una logica di scambio, prerogativa fondamentale della contrattazione, di porre con forza il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Questa potrebbe essere la vera sfida da porre a Marchionne. Si vedrebbe così, se a lui e a tutti gli industriali sta veramente a cuore il tema dello sviluppo del settore manifatturiero in Italia. Un tema di cui troppo poco si parla, ma che deve tornare ad essere al centro delle politiche per la crescita del Paese.