La morte di Enrico Liverani
Quando si ha la notizia della morte non convenzionale di una persona, si resta sempre addolorati. La morte di Enrico Liverani mi ha però colpito maggiormente.
Non ho mai visto di persona, ne parlato con Liverani. Lui non era mio assessore e nemmeno il mio probabile futuro Sindaco. Ho seguito quella persona dall’aspetto mite e pensieroso, solamente sulla stampa e nei social.
Eppure la sua morte mi ha colpito oltre al normale. E mi sto chiedendo per quale ragione.
Forse perché come lui ho condiviso la militanza nella Cgil, un’organizzazione che lascia il segno per tante ragioni in coloro che la frequentano a lungo.
Oppure perché mi ricorda – ma chissà perché – persone e politica di altri tempi, quando la militanza era un valore che veniva anteposto alla sfera personale del vivere la vita.
Mi ricorda forse il tempo in cui riconoscersi come “compagni” significava assumere una funzione propedeutica. E non dovevi fallire.
Il suo percorso politico mi ha ricordato la leggendaria “politica dei quadri” quando le varie famiglie del villaggio della sinistra, programmavano a tempo e spesso con lungimiranza il percorso dei militanti.
“Ero sicuro che saresti stato un bravo Sindaco, perché penso che avresti guidato i tuoi cittadini nel futuro, mantenendo però ben salde alcune radici nel passato del tuo villaggio. Di quello che io credo sia stato il tuo villaggio”.
Non so se realmente Enrico rispondesse al quadro che di lui mi sono immaginato. Mi piace però ricordarlo così.
“Riposa in pace caro Enrico, in tanti seguiranno la tua lezione”.