Senato, 27 novembre
La cronaca della giornata ha offerto molti spunti ai cronisti, ai commentatori, ai vignettisti, alla satira -in qualche caso divertente, spesso grossolana- che impazza sul web. Non poteva essere che così, anche se gli eventi che hanno caratterizzato la giornata meritano qualche riflessione meno emotiva.
Giornata davvero memorabile? E per quali ragioni? Non per l’esito del voto del Senato; era acquisito. Neppure per il fatto, pur di per sé eversivo, che un capo di partito – un pregiudicato- abbia chiamato a raccolta le sue truppe in opposizione esplicita e diretta al voto che si stava doverosamente esprimendo nell’aula parlamentare; arringandole con attacchi insensati alla Magistratura (omologata alle BR), alla Corte Costituzionale, alla Presidenza della Repubblica. Anche a questo il padrone di FI ci ha da tempo abituato.
Ancor più sconcertante è stato, a nostro avviso, lo spettacolo messo in scena da centinaia di parlamentari della Repubblica, artatamente sdegnati, in veste di dotti legulei intenti a sostenere interpretazioni della legge palesemente e notoriamente insostenibili, ma molto compresi della propria sapienza e fintamente scandalizzati della capacità della Presidenza di mantenere la barra del regolamento e della legge. E che dire delle dame di corte vestite a lutto? Una grande sceneggiata messa in scena per alcune ore; la rappresentazione scontata di gesti, parole, finzioni sceniche di cui ciascuno dei teatranti, al pari di ciascuno spettatore che abbia seguito le dirette televisive, sapeva a memoria in anticipo l’esatto copione, non solo l’epilogo. Fino al momento in cui la pantomima è diventata talmente bolsa e stracca da indurre il cerimoniere Sandro Bondi a rivolgersi ai suoi invitandoli a por fine alla eroica battaglia, come supremo gesto di sdegno gettato in faccia agli usurpatori.
Più l’illogicità del teatro dell’assurdo che la fantasia creativa della commedia dell’arte. E quando Bondi ha proclamato l’abbandono del campo, i più sollevati sono apparsi i teatranti. Tanto dovevano al loro padrone; sia per testimoniare la personale devozione, sia per sollevare il polverone capace di rendere illeggibile il nesso fra i reati gravi da lui commessi e la conseguente inevitabile decadenza.
Umori del tutto analoghi, da crepuscolo tardo-autunnale, si percepivano fuori dell’aula, in via del Plebiscito, come hanno rappresentato i molti cronisti presenti: una finzione di protesta e di volontà guerresca.
Tuttavia non si deve cedere alla illusione che la partita sia del tutto chiusa, che ci sia “solo” da risalire la china. Berlusconi forse è giunto ieri, simbolicamente, al termine della sua parabola di leader temibile; ma l’inquinamento culturale e civile da tempo inoculato nel corpo della nostra società richiede processi di bonifica profondi.
Mercoledì 27 novembre, nell’aula del Senato, è andata in scena la rappresentazione di ciò a cui si riduce la democrazia rappresentativa quando muore la politica; quando al suo posto si insedia la semplificazione autocratica. Quando alla fatica della partecipazione e della personale responsabilità di ciascuno nella definizione di una strategia condivisa si sostituisce la comoda e rassicurante fedeltà al leader carismatico, al capo assoluto, in taluni casi al padrone. Centinaia di parlamentari (quelli seduti a palazzo Madama e i deputati in prima fila sotto il palchetto di via del Plebiscito), pronti ad umiliare se stessi -e quindi i cittadini di cui portano rappresentanza- di certo per ignavia, ma anche perché l’unico elemento di condivisione che li accomuna è appunto sempre e soltanto la fedeltà al capo, unico abilitato a decidere; si tratti di giustizia, di economia o di qualunque altra questione.
In questo senso, e senza confondere le responsabilità, la vicenda offre a tutti spunti di riflessione. Ricostruire il senso della politica, rivitalizzare i partiti come soggetti collettivi capaci di produrre cultura e civismo, promuovere coesione sociale attivando forme nuove di dialogo fra le generazioni e le aggregazioni di interesse che segmentano la società… Molti fra gli opinion-makers oggi in voga anche sulla grande stampa potranno considerare eccentriche e antistoriche queste indicazioni; ma noi siamo convinti che il futuro passi da qui, se non vogliamo che diventi disgregazione e sopruso.
Giuseppe Casadio