Politica

Insisto, occupiamoci dell’economia reale

Europa delle politiche mercantilistiche e restrittive, che generano depressione economica e disoccupazione, l’Europa che si avvita inesorabilmente in nuovo debito inseguendo l’illusione di un risanamento palingenetico, appare ormai senza bussola. Da questa situazione solamente la Germania e qualche paese satellite traggono -per ora- profitto, lucrando sui differenziali (non solo fra gli interessi sul debito). Le previsioni di inversione del ciclo vengono rinviate di semestre in semestre; ormai ogni annuncio in tal senso appare pura finzione.

L’Italia, nel corso dell’ultimo anno, ha operato in profondità in funzione del risanamento; ha sopportato misure socialmente dure e spesso inique. Eppure è in recessione profonda e prolungata. I dati più significativi sono noti; la BCE -ultimo rapporto mensile di Draghi- ipotizza per noi i primi segni di ripresa per il secondo semestre dell’anno, il che significa -ammesso che la previsione, per una volta, si avveri- che i dati della disoccupazione continueranno ad aggravarsi ancora per un anno almeno.

E c’è anche altro da considerare: il nostro sistema produttivo mantiene una spiccata identità manifatturiera, e quindi una naturale propensione all’export. Ma oggi è allo stremo e lo scenario internazionale non appare propenso ad una significativa espansione della domanda nel breve termine. E comunque le nostre imprese esportatrici devono competere innanzitutto con quelle tedesche, scontando quei differenziali di costo e di produttività.

Fin qui alcuni dati di quadro; richiamandoli, seppur sommariamente, pare di stare fuori dal mondo, a fronte delle questioni che occupano per intero le cronache politiche di queste settimane (e chissà di quante altre a venire). Invece siamo nell’epicentro della politica. Sotto la pelle del recente dato elettorale, infatti, pulsano umori densi e profondi, due in particolare: la rabbia e la paura. Rabbia per i costi sociali delle politiche economiche prevalenti, per le iniquità diffuse, per la marginalità in cui sono confinate  intere generazioni, per le diseguaglianze crescenti. Paura di un futuro ignoto, tanto per coloro che già si trovano ai margini, quanto per l’imprenditore che fin qui ha resistito e oggi soffre la totale assenza di credito anche quando si intravede qualche spazio di mercato.

La diffusa insofferenza per la politica manifestatasi nel voto, affonda le sue radici in quei sentimenti e di essi si alimenta. Lo sdegno per gli abusi e i privilegi immotivati a cui parte del ceto politico ci ha abituato è stato il detonatore di un malessere più profondo, di carattere non solo etico. E dunque, affinché prenda corpo e si affermi una prospettiva di governo effettivamente innovativa, non basta un progetto, pur indispensabile, sui costi della politica.

Il confronto sui problemi della “economia reale”, e sulle relative proposte, di carattere emergenziale e di carattere strutturale, dovrebbe emergere come centrale nel gran dibattito quotidiano sulle maggioranze parlamentari ipotetiche, sulla durata prevedibile della legislatura; mentre con tutta evidenza, per ora, così non è.

Perciò considererei un buon giorno quello in cui le principali rappresentanze dei protagonisti dell’economia reale, irrompessero nel dibattito corrente e richiamassero le forze politiche, vecchie e nuove, al dovere di questa responsabilità. Ciascuna con le proprie analisi e le proprie priorità, ma accomunate dalla consapevolezza che ora è davvero in gioco molta parte del futuro della seconda maggiore economia manifatturiera d’Europa, una delle più sofisticate e “intelligenti” del mondo.

Peraltro sarebbe anche un contributo all’evolvere della dialettica propriamente politica, poiché non v’è dubbio che, nella situazione data, e con alle spalle la nefasta esperienza dei governi di Berlusconi e Tremonti, la domanda di novità, resa ancor più urgente dalla crisi, non può che rivolgersi allo schieramento  progressista. Solo se la dialettica politica si avvitasse ulteriormente in un groviglio tutto politicista, il centrodestra potrebbe trovare il varco per essere ancora protagonista, o comunque per condizionare la dialettica parlamentare.

Quindi portare l’attenzione al merito delle questioni più urgenti, cercare risposte credibili ai problemi dell’economia reale, è anche il modo più efficace per scongiurare ipotesi di governissimi, o altre alchimie di palazzo. Una ragione in più per stare in campo.

Roma, 13 febbraio 2013

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