Giuseppe Casadio, domani 26 febbraio
Molti lettori si ricorderanno Giuseppe Casadio. Negli anni settanta, al suo ritorno in Romagna, abitò per qualche anno a Castel Bolognese, con Maria Grazia Tacchi, assessora comunale nell’amministrazione Gaglio. Giuseppe è stato un valente sindacalista. Prima nella Fiom, poi segretario della Cgil di Ravenna, segretario della Cgil dell’Emilia Romagna e infine membro della segreteria nazionale con Cofferati. Per molti di noi, sindacalisti e persone impegnate in politica e nel sociale, Beppe è sempre stato un importante punto di riferimento. Ora è in pensione, vive a Roma. E’ membro del Cnel, collabora con la Cgil e scrive di politica con arguzia, con competenza, sostenuto da una prosa scorrevole e bella.
Alla mia richiesta di pubblicare nel blog i suoi articoli, ha risposta con la generosità di sempre. Pertanto da oggi inizio la pubblicazione dei suoi scritti che nell’architettura del blog troveranno posto nella categoria “Politica”.
DOMANI, 26 FEBBRAIO.
Poiché la metafora del “voto utile” ha in sé il sapore indubbiamente difensivo e poco entusiasmante del meno peggio, proviamo a prendere la questione dall’altro lato; cioè a simulare quali prospettive l’Italia possa intravedere davanti a sé, ad urne chiuse. Naturalmente le ipotesi considerate stanno nel novero di quelle che le previsioni ci inducono a considerare verosimili.
Prima ipotesi, la più auspicabile: il centrosinistra avrà riscosso anche la maggioranza di seggi parlamentari, oltre che di voto popolare, nonostante l’assurdo meccanismo del premio di maggioranza regionale per il Senato. Smaltita la sbornia, Bersani salirà al Colle, riceverà l’incarico dal Presidente Napolitano -che, giustamente, ha già dichiarato che ne investirà in ogni caso il candidato sostenuto dal partito di maggioranza relativa- e dovrà proporre ai nuovi gruppi parlamentari un programma di governo su cui chiedere il consenso della maggioranza parlamentare. Questo primo passo sarà facilitato da come il centrosinistra ha predisposto la sua campagna elettorale (carta di intenti condivisa fra PD, SEL, socialisti, centro democratico; primarie per la scelta dei candidati); e tuttavia la proposta sarà doverosamente rivolta a tutto il Parlamento.
Dovrà essere un programma ambizioso, segnato da alcune scelte forti, vista la situazione in cui si trova l’Italia. Un programma sostenuto senza incertezze dalla coalizione, e tale da sfidare sul piano del cambiamento effettivo sia il manipolo dei “rivoluzionari civili” – supponendo che anche al Senato qualche eletto ce l’abbiano – che i sedicenti “riformatori per vocazione”, oggi aggregati attorno a Monti.
Nella ipotesi che si sta considerando, comunque il centrosinistra muoverebbe da una posizione di forza, anche se, verosimilmente, al Senato, protetta da qualche seggio di vantaggio, non più. Non si può dimenticare, infatti, che di certo le Assemblee parlamentari conteranno un numero rilevante di seggi occupati da esponenti della coalizione berlusconiana, che praticheranno una opposizione sistematica, e da un consistente manipolo di “grillini”, dediti a scorribande di ogni tipo. Potrebbe dunque, il centrosinistra, agire con l’incedere orgoglioso dell’autosufficienza a riformare nel profondo, come peraltro è necessario fare, le politiche economiche, a rendere più equa la stratificazione sociale, a modernizzare le architetture istituzionali, a rinsaldare la rete dei diritti civili?
Il terreno dovrà essere, piuttosto, quello della sfida e della proposta; competerà agli altri soggetti politici rispondere assumendo responsabilità nei confronti dei cittadini e dei loro bisogni, delle imprese, dei partner europei. Decidere, gli uni, se uscire dal bunker; gli altri di rendere con i fatti comprensibile anche a noi mortali cosa significhi il termine “riforme” nel lessico montiano. Se il significato sia lo stesso, ad esempio, per Olivero e per Bombassei, per Bocchino e per i vertici della Comunità di S. Egidio. E, auspicabilmente, trovare riscontri sul piano delle convergenze.
Seconda ipotesi: il centrosinistra ha prevalso chiaramente nel voto popolare, ma non avrà comunque maggioranza al Senato. Scenario possibile. Bersani riceverà l’incarico, ma per la formulazione del programma di governo sarà ancor più necessario un confronto-trattativa con Monti e i suoi. Più difficile, naturalmente; un confronto in qualche modo ipotecato da un vero e proprio potere di interdizione che i centristi potrebbero far valere, mantenendo coperte le proprie contraddizioni ed esponendo Bersani ed il PD al peso di eventuali tensioni, anche nel centrosinistra.
Si dirà: i voti mancanti per la maggioranza potrebbero venire dagli eletti di “Rivoluzione civile”. Ammesso che ci siano, al Senato. E con quale prospettiva? Lucrare, nella migliore delle ipotesi, una maggioranza comunque risicatissima, riproducendo in sostanza l’esperienza infausta del 2006, in attesa di un nuovo Bertinotti?
Terza ipotesi, ancor meno entusiasmante: il centrosinistra è risultata la coalizione maggioritaria, ma con meno margine del previsto; mentre i centristi hanno ottenuto una affermazione significativa. Il Presidente del Consiglio incaricato sarà ancor più condizionato, e se il suo tentativo di formare il Governo dovesse fallire per impossibilità di concordare un programma accettabile per il centrosinistra, ragionevolmente il Presidente della Repubblica, piuttosto che sciogliere le Camere appena elette, potrebbe affidare l’incarico ad … un tecnico, per l’eventuale costituzione di una nuova “strana maggioranza”.
Di certo ciò non costituirebbe un vincolo, ma la responsabilità per il centrosinistra sarebbe in ogni caso enorme e pesantissima.
Per non considerare le altre ipotesi …
Forse è bene, dunque, non fare ricorso al concetto di “voto utile”, se questo suscita irritazione e malanimo; purchè si usi la testa.
Giuseppe Casadio