Sardegna in camper
Torniamo in Sardegna dopo undici anni con molta curiosità. L’idea è quella di unire la vacanza alla conoscenza dei luoghi e delle persone. Ho trovato i sardi riservati e cordiali. Aperti al dialogo, disponibili ad ascoltare.
Viaggiamo in camper, assieme ad altre due famiglie.
Agli amici camperisti, alle nostre associazioni, alle riviste specializzate del settore, dico che mai come in questo viaggio ho avuto l’idea di una categoria – quando non invisa e letteralmente cacciata – da prendere alla gola. Siamo sempre più considerati persone ricche, alle quali chiedere ovunque un obolo, ricevendo generalmente in cambio servizi scadenti, quando non assenti.
Il viaggio si sviluppa dal 18 giugno al 2 luglio. La tratta è Piombino – Olbia, il costo per il trasporto, andata e ritorno, di 340 euro.
La sera del 18 ci portiamo sul golfo di Baratti. Una selva indescrivibile di divieti ci obbliga alla sosta in un’area camper comunale, prima della deviazione per la località balneare. L’area è non custodita, si pagano 2 euro all’ora dalle 8 alle 20, nulla la notte. Si paga anche lo scarico e il carico, con la complicazione che la notte il servizio viene posto sotto chiave dalle Guardie provinciali; anche l’acqua (alla faccia del referendum sull’acqua bene comune e pubblica). Di positivo c’è che l’area è servita da navetta, ogni mezz’ora, verso la spiaggia e verso il piccolo borgo di Populonia.
Al mattino seguente (19) andiamo a Piombino per un breve visita alla città prima dell’imbarco. Sostiamo nella bella area camper comunale (gratuita) che si trova all’ingresso della città, salendo verso l’ospedale per una strada a destra, immediatamente prima di una grande rotonda. Il centro della città è una gradita sorpresa.
Ci imbarchiamo in un traghetto della Moby. Un’altra cosa rispetto l’open deck della Compagnia dei Golfi di oltre dieci anni fa. Dopo cinque ore e mezzo di mare mosso, sostenuto dal maestrale, giungiamo ad Olbia.
Ci spostiamo a San Teodoro per la notte. Alla spiaggia della Cinta il grande parcheggio dove avevamo liberamente e gratuitamente parcheggiato dieci anni fa è off limits per i camper. Non ci resta che il campeggio (20 euro al giorno con luce, scarico e carico). Al mattino (20) inforchiamo la bici per visitare Lu Impostu, una bella lingua di spiaggia caraibica con stagno retrostante, poco affollata. Sembra la spiaggia di Tindari, vista dall’alto. Da non perdere.
Nel pomeriggio ci spostiamo per raggiungere la spiaggia di Bèrchida. Dopo circa 18 chilometri a sud di Siniscola (all’altezza del Km 242 della
Statale 125 – se non erro) parte la carraia per la spiaggia. Sono 4,7 km di sterrato in uno stato veramente vergognoso. Per percorrerlo occorre più di mezz’ora e una buona dose di fortuna per non avere danni al mezzo. A 100 metri dalla spiaggia si parcheggia (gratuito) in un grande prato. L’isolamento è assoluto. Alcuni km di spiaggia di sabbia totalmente libera, le dune alle spalle, l’acqua turchese. Il bar arriva al mattino su di un camion con generatore, la sera va via. La notte il silenzio è assoluto, nessuna luce all’orizzonte, il cielo stellato come raramente si vede. Ci visita un pastore che riesce ad appiopparmi un ottimo formaggio di capra. Per gli amanti del genere uno spettacolo grandioso. Qui, oltre alle zanzare, costante su tutta l’Isola, facciamo la conoscenza delle zecche, evidentemente veicolate dalle tante pecore che ci sono in giro. Ci fermiamo due giorni.
La mattina del 22 partiamo in direzione di Marina di Orosei per la visita alle calette della zona. Ci portiamo all’imbarco dove troviamo il divieto di sosta per i camper. Chiediamo spiegazioni che nessuno ci sa dare. Qualcuno ci dice di parcheggiare ugualmente con un biglietto che informi che siamo in escursione con la barca (30 euro). Capito? Ci va bene.
Dimenticavo. Orosei merita una visita. Come tutti i piccoli paesi sardi, sembrano rimasti indietro nel tempo. Conservano quel poco che la storia gli ha tramandato, senza interventi eclatanti a riprova di una endemica ristrettezza di risorse economiche.
La barca ci carica sulla spiaggia; la prima sosta è a Cala Sisine, poi Cala Mariolu. A Cala Golortitzè non si può scendere, quindi la vediamo dalla barca. Nel pomeriggio sosta a Cala Luna, poi il ritorno. Che dire? Quel tratto di costa con la falesia direttamente a contatto con l’acqua è veramente bello. Le calette sono attraenti grazie alla splendida armonia di colori che la natura offre. La più bella è Cala Goloritzè che viene, giustamente, preservata dalla massa dei turisti in barca. Quella massa di turisti che ha negativamente trasformato negli anni la leggendaria Cala Luna, sbiadita copia oggi di quella che era anche solo 10 anni fa. Ricordo a chi voglia cimentarsi che alle varie calette si accede anche a piedi, dall’alto.
Per la sera puntiamo a Lido di Cea. Scegliamo la seconda area camper, quella direttamente collegata alla spiaggia. Gestita da un romano, troviamo ombra, docce, bagni, luce carico e scarico per 15 euro. Siamo nell’Ogliastra, bella e selvaggia. Siamo nella zona delle rocce di granito rosso. La spiaggia è libera, di sabbia fine. L’acqua è turchese, punteggiata di rocce rosse che nelle ore del tramonto paiono vivacizzarsi.
La mattina successiva (23) visitiamo Tortolì (merita, come Orosei). Poi Arbatax. Ci rechiamo nell’area del porto con il suo splendido faraglione di granito
rosso. Parlando con un anziano veniamo a sapere che la Cooperativa Pescatori fa una ristorazione a base di pesce, molto apprezzata. Incuriositi, cerchiamo il luogo, un ampio locale rustico nella grande area dello stagno antistante il mare, a ridosso degli allevamenti di cozze. Si tratta di 11 portate, tutto compreso, a menù fisso, a fronte di un corrispettivo di 31 euro. Davvero una belle scoperta.
Dialogo a lungo con i lavoratori della Cooperativa dei pescatori. Mi spiegano che nell’ultimo decennio hanno ripiegato dalla pesca in mare, alla coltivazione del grande stagno della zona. Allevamenti di pesce e mitili, aree per la pesca sportiva, commercializzazione e consumo. Si sono ricavati un ampio locale fra gli specchi d’acqua i canale degli allevamenti ed un loro target commerciale. Cucinano solo pesce fresco del loro mare e soprattutto dei loro allevamenti. Menù di giornata e prezzo fisso. La qualità delle portate è ottima e abbondante. Qui, ogni giorno, centinaia di orate vengono cotte alla griglia con brace di legna. I ragazzi del servizio sono simpatici. Il gerente mi parla a lungo delle pesanti difficoltà economiche dell’isola e del calo di turisti dovuti, a suo dire, al pesante aggravio dei costi dei traghetti.
Il giorno dopo (24), al mattino saliamo a piedi nelle collinette che sovrastano il mare alla ricerca di nuovi scorci di costa. Incontriamo una bella vegetazione di mirto, sughere, oleandri e tante piante grasse. Pochi lembi di terreno sono coltivati ad orto, fino a giungere una zona che appare degradata. Si tratta di una servitù militare, abbandonata, come tante ce ne sono in Sardegna. Ne parlerò in un prossimo articolo di approfondimento e di commento.
Nel pomeriggio ci spostiamo a Villasimius. La località non è per nulla accogliente per i
camper. Non mi dilungo. Decidiamo di arretrare e puntiamo su Cala Sinzias. Al lido c’è un piccolo parcheggio gratuito, antistante ad uno più grande, ma di servizio per il bar-ristorante e le attrezzature di spiaggia. La spiaggia è quella solita: sabbia fine e acqua limpidissima. Percorrendola verso nord, ad un certo punto le rocce bianche incontrano e si accoppiano con rocce nere. Il gioco di colori e di forme che si crea al cospetto di una ricca vegetazione di piante grasse, è veramente splendido. Siamo incuriositi dal locale e dalle attrezzature di spiaggia messe su sul modello caraibico (credo). I gestori e i ragazzi dello staff sono molto gentili. Cuociono pesce alla griglia che viene servito in modo informale, ma simpatico.
La mattina del 26 puntiamo su Cagliari. Nessuna difficoltà ad entrare, se si seguono le indicazioni per il porto, dove si trovano parcheggi. Visitiamo in fretta la parte storica, Il tempo per prendere atto dello stato di decadenza di questa città. Il suo borgo medioevale è sopraelevato. Era contornato da una bastionata di cui restano traccia delle torri. Il Bastione di San Remy, il Duomo, la chiesa di Sant’Agostino, la Torre dell’Elefante sono solo alcune delle tante vestigia di pregio.
I segni del degrado sono evidenti, particolarmente ai cagliaritani che tengono imbrattati muri e finestre con i segni della protesta. Dalle scritte sui muri si intuiscono la stanchezza dei cagliaritani e l’ultima speranza, riposta nella nuova amministrazione comunale con l’ampio consenso riversato sul giovane ragazzo che hanno eletto a Sindaco. La storia di Cagliari merita maggiore rispetto e fortuna per i cittadini che vi abitano.
Nel pomeriggio ci rechiamo a Punta Chia. Dicono sia un’area dove abbia investito la famiglia Moratti. Scegliamo la spiaggia Su Giudeu dove c’è una buona area camper (ombra, luce, scarico e carico per 15 euro al giorno). La zona dal punto di vista paesaggistico è molto bella, peccato si noti in modo evidente la maldestra mano dell’uomo. La spiaggia è a 400 metri. Per raggiungerla si costeggia uno stagno che ospita centinaia di fenicotteri rosa.
Il mattino successivo (27) inforchiamo la bike. Cerchiamo di salire al faro di Capo di Spartivento (tre km). Lungo il percorso ci godiamo la vista di piccole baie libere. Giunti (faticosamente) al faro, proseguiamo a piedi fino alla punta del capo da cui si gode di una vista incredibile fatta di fiordi, di baie, di golfi con barche in rada e di colori dell’acqua e della natura indescrivibili. Al ritorno foro. Giungo al camper dopo l’ennesima gonfiatura, dove Giovanni mi rimette in bicicletta. Ancora in bici verso la Torre di Punta Chia. Ancora la conferma che ogni volta che saliamo in alto anche solo poche decine di metri, il panorama che si prospetta è incantevole. Eguale sensazione l’avevamo avuta in Sicilia. Seguendo un’indicazione, decidiamo di visitare un nuraghe. Chiediamo ad un’anziana del posto che, frettolosamente, ci dice di non sapere dove
si trovi. Proseguiamo. Chiediamo informazione ad un’altra signora del luogo che ce lo indica, dicendo però che “è stato bruciato tutto”. Il nuraghe si trova in cima ad una collinetta completamente arsa dal fuoco. Tornando verso il camper notiamo un’altra vasta area pianeggiante completamente bruciata. A ben guardare la zona è punteggiata di case e casette singole o aggregate in piccoli villaggi senza alcun ordine. Molto probabile che quella zona sia preda della speculazione più bieca. E dire che l’insieme costituito dalla spiaggia con le sue dune (protette), dallo stagno con i fenicotteri rosa, dalle sue calette e fiordi, dalla sua lussureggiante vegetazione, dalla sua acqua smeraldina, forma una delle zone più belle della Sardegna.
Verso sera proseguiamo per Porto Pino. La strada costiera consente la vista di scorci impareggiabili (golfo Malfatano), ma Porto Pino delude le attese. Al posto della spiaggia di un tempo parcheggi e un porticciolo turistico. Ostilità verso i camper. Quel che resta della spiaggia è stato invaso da due metri di alghe (la natura che si vendica). Proseguiamo per Fontanamare dove passiamo una notte tranquilla nel parcheggio del vecchio porto minerario. Siamo giunti nell’iglesiente, l’antica zona mineraria.
Al mattino (28) proseguiamo alla scoperta della zona delle miniere abbandonate. Visitiamo Nebida dove una bella passeggiata aggira un piccolo promontorio sullo splendido mare. Poi ci rechiamo a Porto Flavia nel territorio di Masua. Arriviamo dall’alto e subito ci attrae la bellezza dei colori dell’acqua combinati con le rocce e i colori della vegetazione. L’area è protetta nella prospettiva della creazione di un parco (c’è chi firma a favore e chi firma contro). Qualche modesta casetta, poche attrezzature di spiaggia, una piccola area per la sosta dei camper (solo doccia) per 10 euro al giorno, tanti parcheggi.
Porto Flavia è un porto minerario dove le navi, una per volta, attraccavano per essere caricate sotto una tramoggia alimentata da un nastro trasportatore sul quale carrelli che percorrevano un intelligente sistema di gallerie, trasportava il minerale scavato dalla miniera. Abbiamo visitato (8 euro) le gallerie e ricevuto da un vecchio minatore tutte le interessanti informazioni del caso. Qui ci siamo fermati due giorni. Una bella escursione a piedi nella montagna sovrastante la costa ci ha fatto ammirare un natura (mare e monti) incomparabile. Una gita in mare (13 euro) ci ha fatto scorgere da vicino il famoso Pan di Zucchero, un grande masso che si alza poderoso dal mare, scoprire gli anfratti più nascosti delle rocce. Ci ha offerto l’opportunità di un bagno in uno sperduto fiordo. Poi bagni e immersioni alla ricerca della popolazione marina (piuttosto scarsa). Non dico altro; in questi posti ci si lascia il cuore.
La mattina del 30 giugno proseguiamo per Cala Domestica, una bellissima baia in ambiente selvaggio, tipo far west. Il mare è molto mosso e mostra l’altra faccia di se stesso. Le onde che si infrangono e modellano stranamente le rocce sono anche loro spettacolo nello spettacolo. Percorriamo un breve sentiero lungo la scogliera verso nord dove, improvvisamente, da un buco scavato nella roccia scorgiamo un’altra incantevole piccola baia con alle spalle una valle selvaggia che si dipana verso il monte. Proseguiamo per Buggerru, un piccolo paese legato alla vita delle miniere. Potete immaginarlo dopo alcuni decenni dalla chiusura di tutte le miniere, senza che nulla di alternativo sia sorto, se non un porticciolo turistico. Io spero quel porticciolo possa aiutare l’economia del paesino, ma ho forti dubbi. Di sicuro quel porticciolo ha leso la bella spiaggia ed è un pugno nell’occhio rispetto al paesaggio circostante. Lo dico col pianto nel cuore, ma, passeggiando per Buggerru, mi tornano alla mente i piccoli paesini dell’interno della Jugoslavia di trent’anni fa.
Proseguendo lungo la strada costiera, abbiamo modo di ammirare la bella spiaggia libera di Sannicolau. Ci fermiamo per una foto, poi via verso Capo Pecora. Lungo la strada incontriamo una tenda con persone che protestano. A Capo Pecora la strada finisce. La bellezza è sconvolgente, uno dei ricordi che serberò per sempre negli occhi. La zona è completamente selvaggia, di costruzioni nemmeno l’ombra. Le rocce di granito, modellate dal vento, dalla pioggia e dal mare impetuoso disegnano figure rotondeggianti, indefinibili, ma in perfetta armonia con l’ambiente. Viene la voglia di camminare, di esplorare quei luoghi, di ascoltare il rumore del mare. Chissà.
Al ritorno mi fermo dai ragazzi della protesta. Manifestano contro l’istallazione di un radar da parte di Israele, in quel paradiso incantato. Ci dicono che il 60% del territorio sardo è servitù militare degli stranieri.
Ora il programma prevede, dopo tanto mare, di spostarsi verso il centro della Sardegna. Desideriamo visitare l’altopiano della giara. Arriviamo verso sera a Barumini, paese dove è stato scoperto il più grande villaggio nuragico di Sardegna, oggi protetto dall’Unesco. Gli anziani del luogo ci informano che per visitare la giara ci conviene spostarci a Tuili, comune nel cui territorio, assieme a Gesturi e Setzu, è stato delimitato il Parco della giara.
Questa è un’altra Sardegna. Quella vera, quella della sua millenaria storia di un popolo di terra.
Telefoniamo al gestore dell’area camper di Tuili, che ci viene subito incontro per fornirci tutte le delucidazioni. Si offre di guidarci in visita all’altopiano (13 euro a persona). Accettiamo e mai scelta fu più azzeccata. La giara è un altopiano selvaggio e incontaminato. Una volta regno dei pastori, ora paradiso dei cavallini selvaggi e di chissà quante altre specie animali. Una folta vegetazione di corbezzolo, sughere, mirto e quel cisto che in autunno cova i porcini. Attorno all’altopiano
il Campidano, antico granaio d’Italia. Roberto, che ci ha portato sulla giara col suo mezzo, ci guida lungo un percorso che da soli non avremmo mai potuto percorrere. Non ci sono indicazioni, né punti di riferimento; con ogni probabilità ci saremmo persi, come spesso a qualcuno capita. Lungo il percorso, i vecchi ovili con la capanna/casa/laboratorio del pastore, una bellissima vegetazione, alcuni laghi e infine i cavallini selvaggi.
Nel pomeriggio visitiamo i tre siti archeo-culturali di Barumini (euro 10). Particolarmente interessante il villaggio nuragico. Anche la visita a Barumini e Tuili è interessante. Con qualche contributo europeo si sono lucidati e ora mostrano il loro meglio. Fra cui le case “murate” con i loro ampi cortili da “vivere”, retaggio della passata denominazione spagnola (credo).
Il mattino (2) successivo, dopo la provvista di prodotti sardi, partiamo per Olbia. Il giorno dopo ci attende l’imbarco per Piombino. Ritornati sulla costa orientale, abbiamo il tempo di visitare Budoni e Porto Ottiolu, un colossale, inguardabile, ammasso di cemento e di case vacanziere. Un tratto di costa letteralmente divorato dalla speculazione edilizia, come purtroppo tanti se ne sono visti dal lato continente. Proseguendo, abbiamo il tempo di visitare, a San Teodoro la spiaggia dell’Isuledda. La spiaggia è molto bella, l’ambiente è selvaggio, pochissime abitazioni nella circostante collina. Si nota l’approccio di un vecchio cantiere edile. Con ogni probabilità in quel luogo è stata bloccata una speculazione, ragione per la quale rimane quello uno dei tratti di costa più belli da noi visitati nella parte orientale dell’isola.
La sera dormiamo nel porto di Olbia. Il giorno dopo a casa nel caos indescrivibile dell’Autostrada del Sole.