Marradi, paese del buon vivere
Sarà vero che Marradi (2.900 abitanti) è paese del buon vivere? Usciamo dalla catena dei “borghi più belli d’Italia” per abbracciare la definizione del “buon vivere“, quindi della vivibilità dei piccoli centri. Io penso che, da un punto di vista turistico, il “buon vivere” sia molto più interessante del “più bello”.
Il “più bello” ammesso che sia vero e su questo si potrebbe discutere, bene che vada gratifica gli occhi, il “buon vivere” invece si presenta come più sostanzioso. Tocca l’intelletto delle persone, mira a renderle partecipi di una esperienza non fine a se stessa, tende ad arricchirle culturalmente. Direi che si tratta di una forma di turismo esperienziale alla quale ogni località può candidarsi.
Torniamo a Marradi. Erano quasi 15 anni che mancavamo. Per molti anni abbiamo frequentato assiduamente questi luoghi. Per escursionismo, per via della bicicletta, per funghi, per la buona cucina – della Teresa, su alla Colla e giù, al Camino. Di Marradi poi ho sempre sentito parlare fin da bambino per le così dette “patenti facili”. Chissà cosa voleva dire.
Marradi ci piaceva ed è stato piacevole tornarci domenica scorsa per una semplice gita. Abbiamo trovato il borgo così come ce lo ricordavamo. Con apparentemente nulla di mutato. Stessi bar, stesse botteghe, nessuno sviluppo urbanistico, stessa viabilità. Nessuna traccia di turismo, ma persone tranquille, sorridenti, operose.
Non so come se la passano in realtà i marradesi. La vicenda dei marroni è stata in qualche modo tamponata senza perdita di posti di lavoro (a Marradi). Se le mie info sono esatte, pare che allo spostamento nel nord (Bergamo) della parte più pregiata dell’attività (i marron glacè) abbia corrisposto l’arrivo a Marradi, proveniente dall’avellinese, dell’attività di sbucciatura del buon frutto. Portare lavoro dal sud al nord è un non senso, Ma qui pare sia accaduto col consenso di tutti. Ci vuole nulla che al sud il lavoro sia stato sostituito dal Reddito di Cittadinanza.
Ma c’è di più. Si sono inventati l’Acqua di Marradi che vendono in tutt’Italia; ad esempio, i treni rossi dell’Alta velocità, la offrono ai passeggeri. L’acqua è quella dell’acquedotto degli Allocchi, una vena nutrita scoperta a fine ottocento durante lo scavo della galleria ferroviaria di valico e che disseta in parte anche Faenza. La vendono come “acqua senza bolle”. Davvero ingegnoso.
Di contro, a questi segni di vitalità, si contrappongono decine e decine di cartelli esposti lungo le strade con su scritto “vendesi”. Dato questo, drammaticamente comune a tutte le piccole località montane, anche in Emilia e Romagna. Un fatto che meriterebbe ben più attenzione e studi da parte delle forze politiche e delle Amministrazioni regionali.
Dobbiamo dire che domenica scorsa, bighellonando qua e la, abbiamo trovato tracce del “buon vivere” ovvero di ragioni importante per le quali tante persone potrebbero visitare Marradi e casomai soggiornarci qualche giorno. Le abbiamo trovate nell’ortolano che interrompe il suo lavoro per dialogare di prodotti dell’orto con noi e esponendo belle teorie. Nel pannello elettronico che indica gli eventi e informa i cittadini. Nelle fioriere appese agli storici ponti del Lamone e del Campigno che danno colore e dignità alle antiche architetture. Nel barista che serve col sorriso un buon aperitivo che puoi sorseggiare comodamente in una piazza libera dalle auto. Nelle indicazioni fin dal centro dei sentieri da percorrere verso la montagna. Nel fatto che una piccola città abbia un antico minuscolo teatro – il teatro degli Animosi – ancora attivo. E ci siamo fermati solo per qualche ora.
Ho raccontato questa piccola storia perchè penso che tante cittadine del nostro territorio che proprio belle non sono per tante ragioni, possono in un futuro prossimo lavorare per diventare riferimento di quella fetta di turisti, in crescita, che aspirano e cercano il contatto con la particolare vivibilità dei piccoli centri. Dove trovare nelle cose di ogni giorno, nel “territorio che parla”, la ragione di una nuova forma di turismo in consonanza con tempi che ci chiedono meno sprechi, maggiore razionalità e di riappropriarci del territorio, tutelando ambiente e il paesaggio.