La Cgil che eravamo
Un poco più robusti, qualche acciacco, più rughe e meno capelli, ma lo spirito resta quello di quando la Cgil era una cosa diversa da oggi. Ci siamo ritrovati, noi della Cgil di Faenza degli anni settanta e ottanta a cena: da e Mor, uno di noi, a l’Ustareja de Sol a Solarolo.
Sono passati cinque anni dall’ultima volta, ci ha pensato Beppe Pasotti mentre saliva a piedi a Bertinoro. Ci siamo detti che di cinque anni in cinque anni, potremmo avere qualche problema in futuro. Ci siamo promessi di vederci più spesso e lo faremo.
Col tempo abbiamo imparato a ridere di più e questo è di buon auspicio. La discussione globale, a più voci, come solitamente avviene nelle tavolate romagnole, è stata allegra e piena di spirito. Credo questo voglia dire che non abbiamo nulla o poco da rimpiangere su quella che è stata la nostra esperienza.
Quelli sono stati anni di duro impegno e di lotta per affermare il valore del lavoro e dei lavoratori. Spesso abbiamo sacrificato affetti e famiglia perchè: prima di tutto il Sindacato. Fino, a volte, ad essere cattivi con noi stessi. Di giorno in azienda con i lavoratori e i datori di lavoro e la sera, per anni anche 4 – 5 sere a settimana, oltre al sabato mattina, in ufficio a discutere fra di noi e a preparare le tappe successive.
Per anni non c’è stato un giorno in cui non fosse appeso ai muri delle città un manifesto del Sindacato. E non un giorno che non fosse distribuito un volantino per denunciare, rivendicare, unire le persone e divulgare valori. Era un obbligo morale per ognuno di noi fare almeno dieci assemblee all’anno in ogni luogo di lavoro, avere ovunque il Consiglio di Fabbrica e se per caso un’azienda non ci voleva dentro, azzannavamo l’osso e non lo mollavamo. Fino ad avere ottenuto il risultato.
Così eravamo in quei decenni, così era allora il Sindacato. Oggi lo ricordiamo con affetto. Il fatto che lo ricordiamo con serenità significa che abbiamo l’animo leggero e tranquillo e che siamo fieri di quello che abbiamo fatto. Anche se nessuno ce lo dirà mai e su questo occorrerebbe riflettere.
Quel Sindacato però oltre a dedizione e lavoro è stato anche foriero e denso di rapporti che si sono consolidati fino a diventare quasi indistruttibili. Fino a riuscire a superare anche gli errori che individualmente o assieme qualche volta abbiamo sicuramente compiuto.
Allora è stato bello l’altra sera ascoltare gli episodi particolari, sia duri che caratterizzati da una elevata dose di ironia che molti sapevano e per fortuna sanno ancora esprimere. Dalla rivoltella di un agrario puntata contro Giorgio, alle gag improvvisate su episodi particolari, alle serate romane.
E’ stata una bella serata e anche se non se ne è parlato certamente nessuno di noi ha dimenticato chi ci ha abbandonato. Tutti abbiamo sicuramente pensato anche solo per un minuto a Valerio Santandrea che ci ha lasciati alcuni anni fa.
Valerio, delegato sindacale all’Omsa, ha vissuto gli anni delle lotte per il lavoro in quella storica azienda di casa nostra. Lotte dure, ma intelligenti. Mai settarie, sempre unitarie e coinvolgenti. Non dobbiamo dimenticare che le compagne e i compagni dell’Omsa, fra i quali Valerio, furono i protagonisti della rivoluzione politica che determinò a Faenza negli anni settanta il cambio di colore della storica amministrazione comunale diretta fin dal dopoguerra dalla Democrazia Cristiana.
Ci siamo detti la prossima volta di trovarci per una camminata a piedi. Ma per andare dove? E sapete quali sono state le prime due proposte giunte immediate? Il Monte Battaglia o Cà di Malanca, due luoghi della Resistenza. Facile capire il perchè: perchè la scorza di cui siamo fatti è dura a morire.