Elezioni regionali, dibattito in corso
(Ndr – Pubblico un intervento di Serena Fagnocchi, membro della direzione provinciale del Pd. Serena esprime punti di vista da non sottovalutare. Colpiscono in particolare i dati delle primarie in provincia di Ravenna. La parte di elettori del Pd che si oppone al cosi detto “zoccolo duro” della tradizione ravennate, mantiene nel tempo una forte consistenza. Cosa che invece non è così certa per l’altra parte. Mi chiedo cosa potrà succedere il giorno delle elezioni regionali se fra i candidati del Pd ravennate al Consiglio regionale non ci sarà almeno un candidato che possa rappresentare questa forte area riformatrice).
Quello che ho detto ieri in direzione provinciale Pd: Bonaccini 61% – Balzani 39%. Vince Bonaccini in modo chiaro, anche se non dilagando. Non sono infatti state rispettate le proporzioni tra i sostenitori istituzionali e di partito che i due hanno rispettivamente raccolto.
In provincia di Ravenna Balzani arriva al 42% e in città al 46%. Vince a sorpresa in circoli storici come il Dattorre, e nel centro di Faenza e Lugo, nonostante una campagna denigratoria nei confronti suoi e dei suoi sostenitori. Tra l’altro a Faenza si vota nel 2015, a Ravenna nel 2016.
Le campagne invece forniscono un serbatoio considerevole di voti a Bonaccini. Questo sfasamento tra città e campagne è un dato che si riscontra a livello regionale, non solo ravennate.
Ma è andando a guardare oltre le percentuali, nei voti assoluti, che si raccolgono altre indicazioni chiare. E la prima è l’ ASTENSIONE: una vera e propria evaporazione dei votanti.
Inutile confrontare queste primarie con altre che hanno avuto rilevanza nazionale.
Ecco il confronto con altri precedenti locali :
Primarie Provincia Ra 2010: 15.668 votanti
Casadio 10.370 – Fagnocchi 3.415
Parlamentarie 2012: 15.002 votanti
Pagani 8.739 – Maestri 2.657
Primarie Presidente Regione 2014: 7.968 votanti
Bonaccini 4.565 – Balzani 3.309
Si è passati in pochi anni da quasi 16 mila votanti a poco meno di 8 mila. La metà.
Il poco tempo valeva anche nel 2012, con parlamentarie organizzate in due settimane e tenute tra Natale e Capodanno. Eppure 15 mila persone andarono a votare.
A ben guardare l’astensione colpisce principalmente una parte, con l’altra solo sfiorata. Sembra quasi un segnale da quello che comunemente viene chiamato “zoccolo duro” che sta cedendo, non risponde più come faceva fino a pochi anni fa. Resiste nelle campagne, si è sgretolato nelle città.
Un quadro preoccupante per un partito che tra meno di due mesi deve affrontare le elezioni e che il candidato presidente, Bonaccini, farebbe bene a non sottovalutare. Conoscendolo, non lo farà.
L’effetto trainante di Renzi si sta affievolendo. Le difficoltà del Governo, la crisi che non molla, i risultati che tardano ad arrivare…tutte cose che stanno fiaccando il suo consenso e l’entusiasmo che aveva prodotto. La sua “rottamazione” incompiuta è stata trasformata in più funzionali patti di potere, che non sono più capaci di infondere fiducia in un cambiamento vero.
Delusione e rassegnazione sono stati i sentimenti che ho maggiormente riscontrato in questa campagna elettorale.
Nessuno oggi può considerarsi proprietario dei voti ricevuti, nessuno può definire i voti ricevuti “suoi”, né Balzani né Bonaccini. Sono una delega temporanea.
L’elettore del Pd ha già dimostrato di saper cambiare idea, di saper scegliere tra proposte diverse anche se targate dallo stesso partito. Non basta il simbolo: il Pd con Renzi per le europee era Ok, il Pd con un candidato locale debole e espressione di vecchie liturgie No. E nello stesso giorno, dentro la stessa cabina elettorale, a distanza di pochi secondi, molti dei nostri elettori han saputo dire Sì al primo, No al secondo, con risultati fino a 15 punti percentuali di differenza tra risultato del Pd alle Europee rispetto alle amministrative.
L’eventuale traino di Renzi non ci sarà a novembre. Gli elettori invece sono gli stessi di maggio, pronti a votare altro o non votare se le risposte ottenute fossero considerate insoddisfacenti.
La politica è soffocata dalle parole, ma alla fine ciò che passa, ciò che ha vera e dirompente forza, sono i fatti.
Come sarà composta la lista al consiglio regionale del Pd sarà un fatto. E su essa gli elettori decideranno. Possiamo farcela se saremo capaci di cambiare davvero, se sapremo segnare una vera discontinuità con l’approccio del passato.
E per fare questo occorre partire da una discussione seria su “a cosa serve un consigliere regionale”, cosa vogliamo che porti in Regione oltre alla territorialità, cosa deve rappresentare, che competenze deve avere, per fare cosa.
Si è detto “prima il progetto poi le persone” ma mi pare che il percorso proposto sia il contrario.
Se si pensa di riproporre la stessa strada di sempre dico No, grazie.
Nessuna disponibilità a ragionamenti di tipo spartitorio.
Non possiamo dare l’impressione di voler accontentare scampoli di correnti, interessi di parte, equilibri interni.
Non possiamo dare l’impressione che le candidature siano frutto di crediti da esigere o da maturare.
Non possiamo dare l’impressione di voler sistemare esodati politici o amministratori in scadenza con un valzer di poltrone visto già troppe volte.
Non si possono utilizzare i circoli e gli organismi dirigenti per avallare decisioni prese su questi presupposti.
Tutto questo non può rispondere in modo adeguato alla delusione e rassegnazione che sono il sentimento principale nei nostri elettori, delusione e rassegnazione che vengono da lontano e che hanno tante cause, e che il risultato delle primarie ci ha inequivocabilmente consegnato.
Se invece si intende fare un ragionamento di alto respiro, cambiare veramente a partire dal metodo, abbandonando queste vecchie prassi e liturgie, per una discussione franca e aperta sui CRITERI di candidabilità e sulla QUALITÀ COMPLESSIVA della lista, sono disponibile a discuterne.
Senza avanzare pretese, senza voler piantare bandierine, senza strapuntini da rivendicare.
Le candidature devono servire per restituire il prestigio della politica che intendiamo portare avanti. Non ci possiamo permettere di lasciare spazio a spartizioni e accordicchi.
Chi ha veramente a cuore le sorti di questo partito non ha paura di cambiarne le logiche.
Se questi criteri saranno solo e soltanto criteri di rappresentatività e competenza, valutando il contributo che si vuole portare in Regione, allora ci sono a discuterne.
E con me molti altri, sia nel Pd sia soprattutto tra gli elettori. Che non ne possono più di sceneggiate rivestite di parole su parole per giustificare l’eterno rimanere uguali a se stessi, ma che non aspettano altro che segnali veri di discontinuità nei modi di fare politica in questo partito. E torneranno finalmente a votarci con convinzione.