Cgil e confederalità
Eravamo in tanti, almeno tre mila, alla manifestazione della Cgil a Faenza. Si è scioperato e manifestato, per il lavoro e perché calino le tasse dei lavoratori e dei pensionati. Il momento è difficile, la crisi attanaglia il paese, il lavoro manca, le famiglie sono in difficoltà.
Questa non è una delle crisi cicliche che abbiamo conosciuto negli ultimi trenta, quarant’anni in Italia. Questa è una crisi mondiale e strutturale. La crisi di un sistema di sviluppo per buona trainato da un’economia di carta e dalla finanza allegra delle banche e degli speculatori. A questo fattore vanno aggiunti gli effetti della globalizzazione, la poderosa entrata in scena dei paesi economicamente poco o sotto sviluppati, la valutazione degli effetti del futuro calo dell’estrazione del petrolio, i danni all’eco sistema e l’inderogabilità di porvi rimedio.
Da questa crisi quindi si uscirà con un sistema produttivo profondamente modificato. Le produzioni per definizione mature saranno per buona parte esportate dove la mano d’opera costa meno. Quelle che resteranno in ambito nazionale accentueranno la guerra fra i poveri: i migranti disponibili a lavorare sotto tariffa, i lavoratori atipici con minori tutela, i lavoratori autonomi delle così dette partite Iva. Le attuali attività tecnologicamente avanzate, sia di processo che di prodotto, dovranno rivaleggiare con la concorrenza sempre più agguerrita degli altri paesi avanzati, senza quindi grandi margini di sviluppo capace di compensare l’occupazione che si perde per effetto delle delocalizzazioni. L’unica via d’uscita per un paese come il nostro sta nel sapere cogliere rapidamente le nuove opportunità che sembrano delinearsi. Sono essenzialmente due. I nuovi mercati che si aprono per effetto dello sviluppo dei paesi asiatici, sudamericani e, speriamo anche africani. Gradatamente la richiesta di tecnologia avanzata, sia di processo che di prodotto, si amplierà fino ad offrire enormi volumi produttivi. La seconda opportunità che si prospetta sarà derivata dallo sviluppo della cosi detta economia verde, ossia di tutte quelle produzioni eco compatibili ed eco sostenibili, oramai necessarie per arginare i danni alla biosfera, prima che diventino irreversibili.
Dal punto di vista sociale, di fronte alla frantumazione dei processi produttivi e alla destrutturazione della forza lavoro, sarà sempre più necessario dare corpo ad un nuovo patto dei produttori. Ad una strategia cioè che riesca a tenere assieme su alcuni valori e obbiettivi di fondo tutti coloro che producono e che hanno, per così dire, ragioni sociali tanto diverse. Qualcuno stamattina al corteo diceva: ci vorrebbe Di Vittorio. Io che non ho conosciuto Di Vittorio, mi accontenterei di Lama. Da quello che ho visto stamattina, debbo però riconoscere che siamo molto lontani da quell’obbiettivo. Purtroppo il sindacalismo confederale è in crisi. Questo è un problema di cui occorrerà quanto prima iniziare a parlare.