Campeggio Alfonsine, il valore di una esperienza
Il giorno dopo Ferragosto, appena usciti dal meccanico dove avevo lasciato la bici, incontriamo un ragazzo, un bel ragazzo, che ci dice:
“Buongiorno, voi non potrete mai immaginare chi sono io. Io vi conosco, ma voi …”
Colti di sorpresa, restiamo incuriositi, scrutiamo il volto del ragazzo, la sua fiammante maglia del Bologna FC, ma nessuna luce. Il ragazzo ci toglie subito d’impiccio e dice:
“ Sono Marco, sono il nipote di Edoardo e Mafalda, ci siamo conosciuti tanti anni fa in campeggio da don Pio, qui a San Vito”.
La luce si è accesa e ho subito rivisto quel ragazzino di circa dieci anni, sempre allegro e sorridente, scorazzare nel campeggio, accompagnato dagli occhi sempre vigili dei nonni. Ci siamo ricordati dei bei momenti trascorsi insieme, delle camminate, dei giochi dei bambini – i nostri figli avevano appena qualche anno in più di Andrea -, delle lunghe chiacchierate e anche di quando i nonni gli regalarono i primi scarponi di montagna, pensando amorevolmente anche alla sua crescita. E come se li stimava quegli scarponi, che portava simpaticamente anche nel gioco, facendoci sorridere.
Ci siamo abbracciati e abbiamo cominciato a discorrere. Eravamo curiosi di sapere e gli abbiamo chiesto come mai si trovasse a San Vito.
“Ho portato i nonni” ci ha detto.
“Giù era molto caldo, li ho accompagnati all’Alemagna per qualche giorno di riposo. Purtroppo mio nonno ha incontrato una grave malattia e ho pensato potesse fargli piacere tornare in un posto che gli piaceva molto”.
Siamo rimasti colpiti da questa notizia, abbiamo rivisto Edoardo in piena forma gioire di quanto l’esperienza comunitaria di quel campeggio dava a lui e a tutti noi. Abbiamo pensato alle gioie e ai dolori della vita e a come il destino li accomuni.
Il mattino dopo siamo passati davanti all’Alemagna. Edoardo era lì, seduto, un po’ triste, Mafalda gli era vicino. Ci siamo presentati, Mafalda ci ha subito riconosciuti, Edoardo è rimasto pensieroso. Poi anche i suoi ricordi sono arrivati e fra il più e il meno, ci ha detto delle belle giornate che aveva passato nel campeggio. Ho notato che rifletteva, forse si incupiva pensando alla sorte a lui avversa. Dopo poco ci siamo salutati, augurandoci di rivederci.
Dopo un’ora siamo ripassati, vedo Edoardo ancora seduto al suo posto. Mi chiama: “Sportelli?” Gli vado incontro sorridendo, mi chiede:
“Tuo figlio suona ancora la chitarra?” Sono sorpreso. “Si” dico, ma come passatempo. Edoardo nel suo rinvangare i ricordi si era ricordato di quando Mattia, una sera in campeggio, si era, per così dire, concesso, lui che affermava di suonare solo per se stesso, ed aveva pizzicato qualche pezzo del suo repertorio.
Sono rimasto colpito da questo incontro, per i risvolti umani della vicenda, ma soprattutto perché mi ha fatto una volta di più riflettere sull’esperienza del campeggio di don Pio (Alfonsine, parrocchia di Fiumazzo). Una incancellabile esperienza fondata su valori importanti come la solidarietà, la comunità, la partecipazione. Una esperienza creata sui giovani e le famiglie che ha cementato amicizie che, proprio perché fondate su valori, tengono nel tempo. La montagna, il suo spirito per chi la vive intensamente, la bellezza incomparabile dell’ambiente, hanno fatto il resto. Le persone, ragazzi o adulti, che sono passati dal campeggio si ricordano nel tempo di questa vicenda umana e dei luoghi che la hanno vista crescere. Molti di loro, come Marco e i suo nonni, tornano.