Politica

Chiudiamo le Case di Riposo

Giorni fa ho proposto alcune considerazioni sul tema del Covid e le Case di Riposo. Il fatto che l’argomento a quanto è parso non abbia interessato quasi nessuno – non mi riferisco ai leoni da testiera, bensì alle persone piĂ¹ attente ed equilibrate – mi spinge a tornare sull’argomento. Lo faccio proponendo un articolo suggestivo e stimolante di Enzo Bianchi comparso su La Repubblica del 26 ottobre 2020 e ripreso dal sito AlzoGliOcchiVersoilCielo

Enzo Bianchi è un monaco cristiano, uno scrittore, un divulgatore, collaboratore di papa Francesco, anche se ultimamente allontanato dalla propria Comunità per ragioni che credo solo la chiesa conosca. Anche se per taluni è una personalità controversa è indubbio il suo carisma e la sua cultura. Persona nota al pubblico televisivo, gode di una notevole stima.

Ecco cosa ci dice Enzo Bianchi (ringrazio Rino Gennari che mi ha indirizzato su questa via).

“In questi giorni di recrudescenza della pandemia non si puĂ² tacere un dramma vissuto da molti, benchĂ© sia il piĂ¹ possibile occultato. Un dramma carico di dolore e sofferenza, di fronte al quale è nostra responsabilitĂ  reagire, per quanto possibile, in modo da contrastare il male che colpisce persone, famiglie e convivenze. Un dramma che non osservo dall’esterno ma nel quale mi sono trovato coinvolto in prima persona.

Una persona a me familiare, vedova e senza figli, verso gli ottant’anni è stata colpita da demenza senile. Fino ad allora autonoma e piena di forze, seppur in una vita solitaria in casa, riusciva a vivere in pienezza relazioni con i vicini e i compaesani. Siccome nessuno poteva ospitarla, le si è provveduta una badante, ma la malattia, con manifestazioni anche violente, non permetteva questo tipo di assistenza. Così la si è dovuta per forza portare in una Rsa, dove perĂ² è peggiorata, sempre piĂ¹ estranea a questo mondo e, pur visitata da parenti, ha deciso di rifiutare il cibo fino a morire. «Non si poteva far altro», abbiamo detto tutti, con l’esperienza di aver accettato nei decenni precedenti questo cammino per molti dei nostri vecchi.

Gli anziani sono ritenute persone che stanno per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce piĂ¹ la saggezza dell’esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla societĂ  a livello medico; quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la societĂ . Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li riconosca, invisibili e quasi senza nome, visto che nessuno piĂ¹ li chiama.

In quest’ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante quanto si è vissuto in primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato affinchĂ© l’isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in strutture apposite che permettano, senza il pericolo del contagio, di incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi. E così la solitudine imposta diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole che ascolto piĂ¹ spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire una voce amica.

Forse perchĂ© ho molto ascoltato il grande teologo e visionario Ivan Illich, mio amico, ho sempre diffidato della “istituzione della caritĂ ”: non solo perchĂ© è una caritĂ  “presbite”, che demanda ad altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perchĂ© istituzionalizzare orfani, malati e anziani significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita. Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi: cerchiamo di chiudere presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e di non vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti, comunitĂ , domiciliaritĂ . Altrimenti succederĂ  sempre piĂ¹ ciĂ² che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non venire piĂ¹ curati e di essere lasciati morire al piĂ¹ presto. Povera umanitĂ !”

Ndr – La foto a corredo dell’articolo segnala una Conferenza stampa – siamo nel 2005 – dell’Amministrazione comunale di Castel Bolognese svolta nei locali della Rsa e della Medicina di Gruppo. Furono quelli anni di grande fermento e impegno verso la popolazione anziana e per lo sviluppo della SanitĂ  di base. Nella foto, oltre al sottoscritto, il sindaco di allora Silvano Morini, la dottoressa Giuliana Tarozzi, allora coordinatrice della Medicina di Gruppo e la compianta dottoressa Vanna Vanni, in quel momento responsabile territoriale del Distretto Socio-sanitario dell’Usl del faentino. 

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