AmbienteCastel Bolognese

La catastrofe

Cronaca dalla natura che chiede di essere ascoltata

Solo oggi, a più di una settimana dalla catastrofe, trovo la forza di scrivere. Martedì 16 maggio è accaduto per noi l’inimmaginabile. Non avendo mai vissuto il dramma di un’alluvione, non ci aspettavamo un simile effetto.

Domenica 14 maggio era piovuto, così come quasi tutti i giorni di un mese di maggio che non si ricorda a nostra memoria. I commenti sulle previsione dei giorni a venire erano già quelli preoccupati, ammonitori, con tutti i Sindaci in campo.

Lunedì 15 il terreno era imbibito, l’orto impraticabile, ma il fiume era basso. Coraggio allora. Ma le previsioni che si ascoltavano e si leggevano erano come un rullo di tamburi che avanzava e che occupava sempre più le nostre menti. Verso le dieci del mattino un comunicato del Comune ci annuncia a partire dalla sera, due giornate di massima all’erta. Si programmano evacuazioni, la costituzione di centri operativi e punti di raccolta. Si chiede di restare a casa. Il nostro Sindaco apre un canale Whatsapp per la comunicazione diretta.

A Castel Bolognese la giornata è apparentemente calma, ma qualcosa nell’aria non convince. Umidità, cielo plumbeo, senso di disagio, come quando il silenzio fa paura. Alle quattro e un quarto andiamo a prendere Margot dall’asilo, poi passiamo da Estelle e Thomas, i suoi cuginetti.

Nella mente era come mi rodesse un tarlo. Invece di sorridere dei bimbi in gioco, decido di andare a prendere un sacco di gesso. Vuoi mai che veramente la pioggia ci surclassi, non vorrei farmi trovare impreparato. Con il gesso e tre assi di legno posso sbarrare le tre porte di casa, così siamo al sicuro. Verso sera scatta la chiusura delle scuole. La pioggia scroscia tutta la notte.

Martedì 16 Margot viene da noi perchè il Nido è chiuso. Scongiuriamo i genitori di venirla a prendere quanto prima, piove troppo e la piena a Castello è prevista per le ore 18. Con Lucio decidiamo di portare su le bici  e di alzare gli elettrodomestici. Continuiamo ad essere inquieti. Togliamo cassetti, portiamo su, al primo piano, le scarpe, del cibo, le medicine, qualche piccolo elettrodomestico. Non si sa mai, ci diciamo. Ancora una letta alle varie previsioni, in due consultiamo molti siti specializzati e quello che leggiamo ha il sapore di una sentenza inappellabile: pioggia intensa per due giorni sia da noi che su, in collina. Allerta rossa ribadita, portare e portarsi ai piani alti, non uscire di casa.

Decidiamo di cominciare a barricarci. Sappiamo essere, la nostra, la strada dove l’acqua passa, quando il Senio esonda e questo storicamente. Alcune altre volte l’abbiamo vista passare, per ultimo il 3 maggio scorso in occasione del primo nubifragio maggengo, quando il corso dell’acqua superò di poco il cancello.

Inizio dalla porta di ingresso con un’asse di 10 centimetri. Vuoi mo’. L’altra volta è arrivata al cancello, verso casa sale ancora dieci buoni centimetri e diventano venti … . Poi inizio a stuccare il portone del garage, ma Marisa non è tranquilla. Ha visto nella strada degli assi di mobili da buttare, ne prende uno di 30 centimetri e mettiamo quello. Decidiamo subito di alzare anche la barriera della porta di ingresso e passiamo da dieci a trenta, come per il garage.

Oramai piove a dirotto. Intanto era arrivata la notizia della prima rotta del Senio a Riolo Terme, argine di sinistra, subito dopo il ponte. Poi dell’esondazione sopra Tebano, sempre a sinistra. Apprendiamo che molte famiglie di Biancanigo e dintorni sono state evacuate nel Palazzetto. Pensiamo alla famiglia che abita alla Chiusa, all’orto che lì coltiviamo, alle galline che nel pomeriggio avevo liberato, ai quattro gatti così cari a Margot.

Il Sindaco alle 22 scrive che l’acqua è arrivata a Biancanigo, alle 23 al Boccaccio. Poco dopo sulla strada davanti a casa inizia a scorrere acqua torbida. E’ il segno che è in arrivo quella esondata dal fiume. Una rapida occhiata, ci pare salga in fretta e che assuma un andamento tumultuoso. Fa paura. 

Abbiamo una porta anche dietro casa, ma questa ci preoccupa meno, chissà perchè. Do un’occhiata dietro e vedo il cortiletto completamente sommerso dall’acqua piovana, che però non arriva ancora al marciapiede. Decido prudenzialmente di aprire i pozzetti di scarico, così che se cresce ancora possa trovare sfogo.

Poi davanti a vedere se sale. Continua a salire e oramai ha raggiunto le barriere. Torno dietro e vedo che l’acqua inizia ad intorbidire. Bruttissimo segno, arriva la fiumana anche da quella parte. Allora di corsa ad erigere con asse e gesso la barriera, come davanti a casa.

Torniamo davanti e nel garage sentiamo una goccia cadere. E’ il segnale che la tenuta dell’asse non è proprio stagna e ci chiediamo come fare. Torniamo dietro e anche lì vediamo qualche crepa. Provo col gesso, ma sull’acqua che intanto ha cominciato a passare, non tiene. Poi sentiamo acqua cadere copiosamente in terra. Marisa si accorge che entra dal foro nascosto da un mobiletto che serve per la sicurezza della caldaia. Tentiamo di tamponare con stracci, ma si fa fatica. Un salto davanti e vedo che oramai l’acqua arriva al bordo della diga. Torno dietro, dove Marisa lotta col foro sotto la caldaia. Cerco di aiutarla, ma intanto l’acqua entra. Non so per cosa, va nel bagno e grida: l’acqua inizia ad arrivare dalla doccia e dal water. E’ fatta.

Guardiamo davanti e l’acqua comincia a travalicare le barriere. In un attimo la vediamo scorrere sul pavimento. Acqua davanti, acqua dietro. Constatiamo tristemente tutta la nostra impotenza di fronte a quella forza della natura. Avviliti, stanchi, sporchi, Marisa suggerisce di salire sopra e di tentare di riposare.

Sono quasi le tre del mattino di Mercoledì 17. Non ci restava altro da fare. Mi sdraio sul letto senza togliere i vestiti, guardo il soffitto e penso. Ma non dormiamo. Ogni cinque minuti giù per le scale per vedere dove l’acqua sia intanto arrivata. Una tristezza indicibile. Verso le quattro abbiamo la sensazione che la crescita si sia interrotta. Guardiamo la strada che si presenta come un fiume in piena, ondeggiante, tumultuoso. Come se il Senio avesse cambiato percorso.

Dopo dieci minuti, abbiamo la prova che il livello dell’acqua si è fermato. Al terzo scalino, a 51 centimetri dal pavimento del piano terra. Già da alcune ore siamo senza corrente elettrica. A quel punto riusciamo a chiudere occhio per qualche decina di minuti, pensando di avere toccato il fondo. 

Nel dormi veglia, ogni tanto sbirciamo dalla finestra la strada dove l’acqua continua a correre tumultuosamente verso la piazza. Di fronte a noi un’auto, L’acqua le lambisce lo specchietto. Diventa quello per noi il segno del livello. Continuerà così per tutta la giornata di mercoledì.

Una giornata intera passata a guardare l’acqua che passa, filando verso la piazza, verso il centro del nostro bel paese. Ore interminabili, con i pensieri che affollano la mente, con la rabbia che sale in corpo al solo pensiero che troppo poco s’è fatto nei decenni trascorsi in Italia e certamente anche in Emilia e Romagna, per riassestare un territorio, per governare i fiumi, per curare il reticolo della rete scolante.

Col passare delle ore crescono poi i disagi. Dal sottile e fastidiosissimo olezzo che comincia a diffondersi nell’aria che sa di zolfo, di gabinetto, di carburante. Con l’acqua che arriva a intermittenza. La luce che manca e le batterie del telefono che si scaricano, il WI-Fi che non funziona. I figli che dicono che ci manderanno a prendere se non potranno più avere notizie nostre. Una brutta giornata, di quelle che ti logorano dentro.  

La sera ci corichiamo confortati dal fatto che il livello dell’acqua è continuato a scendere per tutta la giornata. E’ scesa dalle scale di due scalini, su tre. Domani sarà un’altra giornata.

 

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4 commenti

  1. Disastro immane! Sarà dura ma ce la faremo. Poi si dovrà capire perché, perché non si è fatto nulla o quasi per le manutenzioni necessarie! Qualcuno invece di parlare parlare , doveva agire , fare …ora rimbocchiamoci le maniche

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