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Mostar, minareti e campanili

 

 

 

 

Mostar – Il fiume Neretva

 

 

 

Mostar è una città della Bosnia-Erzegovina, simbolo delle atrocità compiute nel corso della guerra nella ex Yugoslavia. Rino Gennari, che l’ha recentemente visitata, ha approfondito la conoscenza della storia di quella città simbolo e ne ha descritto un interessante reportage, che pubblico con piacere, dividendolo in due parti.

La storia

Hajrudin si era recato a cinquanta chilometri da Mostar, dove si pose in ansiosa e trepidante attesa della notizia sull’esito dello smantellamento dell’impalcatura del ponte sulla Neretva, di cui era stato costruttore su incarico del sultano Solimano il Magnifico. Doveva costruire un ponte ad una sola arcata di dimensioni senza precedenti, pena la morte. Il ponte era fatto, dopo sette anni di lavoro tra il 1557 e il 1566. Mancava la dimostrazione che reggeva senza l’impalcatura. Nell’attesa, Hajrudin meditava sul suo futuro: se il ponte avesse retto, sarebbe stato considerato un grande della sua professione; diversamente sarebbe stato mandato a morte, probabilmente impalato. Il  terrificante metodo dell’impalatura è descritto con precisione da Ivo Andric nel suo libro “Il ponte sulla Drina”, per il quale ha ottenuto il premio Nobel. Il giorno stesso della demolizione dell’impalcatura e della conseguente inaugurazione, un messaggero a cavallo gli recò la notizia del successo, con quali conseguenze sul suo stato d’animo, sui suoi pensieri e progetti che è facile immaginare.

Quel ponte sulla Neretva, nel corso dei secoli è poi divenuto un importante simbolo della creatività dell’uomo, della convivenza tra i popoli, del contributo dell’Islam al progresso e alla bellezza.

La guerra

Mostar – La guerra

Come è noto, quel ponte, da tempo chiamato Stari Most, durante la guerra tra croati e bosniaci  fu abbattuto dai primi a cannonate nel 1993. Quando la notizia giunse ad Alfonsine ai giovani bosniaci profughi di Mostar che avevano partecipato alla guerra e che per varie ragioni erano stati costretti ad andarsene, questi piansero. Tra l’altro, essi avevano anche un legame quasi “fisico” con quel ponte, in quanto dalla sua sommità si tuffavano nella Neretva sottostante a circa venticinque metri, per divertimento e per dare prova di abilità e coraggio.

Era stato abbattuto un simbolo di grande importanza, e soprattutto si sapeva che questa azione non corrispondeva solo ad esigenze militari, ma faceva parte di un piano che prevedeva la distruzione di tutte le testimonianze della cultura islamica, la cancellazione della presenza bosniaca a Mostar, per istaurare il totale dominio croato.

La guerra, iniziata nell’ex Jugoslavia nel 1991, è arrivata a Mostar nella primavera del 1992 e si è protratta per tre anni e otto mesi, con una linea del fronte che divideva sostanzialmente la città, prevalentemente lungo il Bulevar Narodne Revolucije, uno stradone alla destra della Neretva. Conosciamo la ferocia di quella guerra, nella quale spesso le città erano spaccate in due, una parte contro l’altra e i combattenti su fronti opposti erano famiglie prima tra loro amiche, membri di uno stesso gruppo di amici e anche di una stessa famiglia armati gli uni contro gli altri.

Alla fine della guerra, a Mostar gli edifici rimasti in piedi erano quasi tutti privi di tetto, infissi e intonaco e con i muri forati dalle granate e per il resto crivellati da ogni tipo di proiettile. Le campagne si erano spopolate, tutte le costruzioni distrutte così come le coltivazioni. Ma le ferite più drammatiche, profonde, che forse potranno rimarginarsi solo con il succedersi delle generazioni, sono quelle che hanno colpito l’anima.Una conferma indiretta viene dal fatto che dopo la guerra l’uso di psicofarmaci è enormemente aumentato.

La ricostruzione materiale

La ricostruzione materiale, sia pure lentamente, ha fatto passi avanti. Case, strade, luoghi pubblici e luoghi di culto, tutti i ponti sulla Neretva. Ancora molto però resta da fare, nonostante siano passati sedici anni dalla fine della guerra. Tante case sono ancora nello stato di impressionanti scheletri. Per una parte di queste non esistono più i proprietari, perché non sopravvissuti alla guerra. Altre sono di proprietà di mostarini ormai stabilizzati in altri stati e non più interessati alle macerie di loro proprietà. La religione prevalente di gran lunga tra i bosniaci è l’Islam e quella tra i croati è la cattolica.

Mostar – Il Ginnasio

I paesi arabi produttori di petrolio hanno aiutato e aiutano la ricostruzione soprattutto a sostegno dei bosniaci, per luoghi di culto e altro, con finanziamenti a fondo perduto nei primi anni del dopoguerra e poi con credito molto agevolato. L’economia è ancora quasi a terra. Nelle campagne, rispetto ad alcuni anni fa, si comincia a vedere qualche vigneto. Nell’industria, all’inizio della guerra, i serbi hanno smantellato il centro di ricerca e formazione aeronautica, portando una parte delle attrezzature a Pancevo, in Serbia, e distruggendo il resto. Era il più grande dell’ex Jugoslavia, con centinaia di addetti e ora è molto ridotto. In questo centro, Gheddafi giovane frequentò un corso militare dell’Air force academy. A Mostar in quei mesi Gheddafi conobbe quella che sarebbe diventata sua moglie, dalla quale ha poi avuto sei figli. Mentre scrivo, si sta concludendo tragicamente la storia di quella famiglia, che tanti patimenti e lutti ha inflitto ai libici e ad altri. La donna, di origini jugoslave, forse con un nonno austriaco, arabizzò il suo nome, da Sofia Farkas a Safiya Farkash. Non mi è stato possibile accertare se Gheddafi e sua moglie abbiano mantenuto una qualche forma di rapporto con la realtà di Mostar.

Poco dopo la fine della guerra è stata riattivata la fabbrica di alluminio (fonderia e semilavorati) con circa 5000 addetti, quasi tutti croati, perchè non si assumono bosniaci. La materia prima proviene parte da una vicina miniera di bauxite e il resto dall’Africa. Molto probabilmente la sua tecnologia è arretrata, in quanto 5000 dipendenti mi sembrano tanti. Il turismo offre qualcosa, perché Mostar per varie ragioni è molto interessante ed è conosciuta nel mondo. In questo campo un contributo, anche se non rilevante, viene da una parte dei milioni di pellegrini che ogni anno si recano a Medugorje, distante circa 25 chilometri, i quali fanno una scappata a Mostar per qualche ora o per un giorno con pernottamento. C’è molta disoccupazione. Il potere d’acquisto è molto più basso rispetto al nostro. È  vero, per esempio, che un chilo di pane costa meno di un’euro e un taglio di capelli tre euro e mezzo, ma i salari medi sono di 150-200 euro e le pensioni nettamente più basse dei salari. Con l’eccezione dei salari della fabbrica di alluminio, che sono più alti. Qualche aiuto arriva alle famiglie le quali hanno parenti che lavorano stabilmente all’estero.

Mostra – Lo Stari Most (Ponte vecchio)

In questa situazione, non trova spiegazione nella capacità di spesa dei mostarini, la grande quantità di supermercati, concessionarie d’auto e altro costruiti negli ultimi anni. Si può pensare ad una strategia di posizionamento in vista di un auspicato futuro sviluppo, oppure o anche a flussi finanziari sospetti.  Infine, un cenno meritano le indagini di alcune multinazionali petrolifere nel sottosuolo di Dresnica, a circa venticinque chilometri da Mostar. Spero che non trovino niente, se no rovineranno la magnifica vallata della Neretva, la parte che va da pochi chilometri dopo Mostar al mare.

Lo Stari Most

Un’attenzione specifica, parlando di ricostruzione, va dedicata allo Stari Most (vecchio ponte). La sua ricostruzione non è stata solo un fatto materiale, ma anche la riappropriazione di un simbolo, il recupero di un’opera straordinaria, un’impresa complessa dal punto di vista tecnico e anche quello finanziario. Si consideri che sono stati recuperati tutti i pezzi presenti sul fondo della Neretva, quelli mancanti sono stati costruiti con lo stesso materiale e metodo di prima, è stata utilizzata manodopera turca, perché molto esperta in quel tipo di lavoro. I finanziamenti sono venuti prevalentemente dalla Turchia. La ricostruzione si è realizzata sotto l’egida dell’Unesco. La spesa è stata di dodici milioni di euro. E ora, dal 2004, lo Stari Most ha ripreso il suo posto nell’animo dei bosniaci e tra le opere patrimonio dell’umanità. Bello, leggero, elegante. La fase della demolizione delle impalcature, a cui sarebbe seguita la cerimonia di inaugurazione, è stata seguita dai moltissimi presenti con tesa emozione, ma niente di paragonabile allo stato d’animo di Hajrudin. (Rino Gennari – fine della prima parte).

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