Abruzzo in camper

Ho visto L’Aquila

L'Aquila - Piazza Duomo
L’Aquila – Piazza Duomo

Abruzzo in camper. Da tempo desideravamo visitare L’Aquila. Meglio l’avessimo fatto prima del terremoto, perchè potevamo ammirare la città in tutto il suo splendore. Non pensavo L’Aquila fosse così bella, vivibile, piena di storia. Oggi a cinque anni dal terremoto che l’ha pesantemente minata, si lascia solo scorgere e immaginare. Le sue cento chiese sono presso che tutte crollate, i suoi palazzi storici sono quasi tutti tenuti su da imbragature e ponteggi, ampi settori della città storica (la così detta zona rossa) ancora segregati dal resto.

Se ne sono dette e se ne dicono tante su L’Aquila. Ma commetterebbe un grave errore se chiunque, parlando di questa città, non partisse dall’assunto che, quella notte di aprile di 5 anni fa, L’Aquila, una città di 100.000 abitanti, fu quasi completamente distrutta dal sisma. E tutto si fermò. Il secondo aspetto da tenere in debito conto è che L’Aquila non era una città “laboriosa” di manifattura agricola e industriale, non era una città di operai e di ceto medio produttivo e quindi di persone che sapessero rapidamente collegare il cervello con le braccia. Era una città di pubblico impiego, di anziani e di studenti, quindi strutturalmente meno portata a reagire immediatamente a tragedie come quella accaduta.

Considerato tutto questo, io penso che sia stato fatto molto. Probabilmente con tanti errori. L’impressione che ho tratto è che la popolazione aquilana e dell’intero Abruzzo (sono presso che tutte abruzzesi le ditte e le maestranze che la stanno ricostruendo) si sia rimboccata le maniche e che stia reagendo.  L’idea che mi sono fatto de L’Aquila è quella di un pugile che, finito ko, resta stordito a terra, ma prima che l’arbitro decreti la sconfitta, si rialza, barcolla, incespica, abbozza un tentativo di guardia che, lentamente, riesce a portare alta. Piano, piano comincia a pungere e a lasciare intatta la speranza che possa giungere al termine, prima della ripresa, poi dell’incontro.

Abbiamo avuto la ventura di parlare con tanti aquilani e abruzzesi, a partire da Claudia e Marco che ci hanno ospitati e accompagnati. La testimonianza che mi sento di rendere è questa.

La città, quella visibile, è quasi del tutto sgombra dalle macerie e tutte le strutture fatiscenti sono state messe in sicurezza.

Non ho visto tendopoli o situazione abitative precarie. I moduli abitativi istallati hanno funzionato, anche se non potranno essere considerati una soluzione stabile, nel senso di essere sostitutivi delle case crollate. Un problema è certamente derivato dal fatto che queste abitazioni sono state costruite parecchio distanti dal Centro storico, fatto questo che non faciliterà di certo il rientro degli abitanti del Centro nelle loro case.

La cintura urbana, fuori le mura perimetrali del centro storico, è in buonissima parte ricostruita o ristrutturata, quindi operativa nelle sue funzioni abitative, produttive e di servizio.

Il Centro storico versa in una condizione certamente drammatica. In  parte è agibile, credo però sia quasi completamente disabitato (buona parte lo era anche prima del terremoto). Qualche attività (poche decine) ha riaperto i battenti. Un salto di qualità lo si potrà avere però solo con la riapertura della miriade di uffici, pubblici e privati, che caratterizzavano la vita del Centro. Al momento gli sforzi della ricostruzione paiono concentrati lungo l’asse del centro città e della piazza principale.

Lo skiline della città mostra una caterva di gru istallate, quindi di cantieri aperti. Il guaio è che, tranne pochi, non sono ancora operativi; sono fermi, in attesa di successivi finanziamenti, al primo stato di avanzamento dei lavori.

Soldi ne sono arrivati tanti, ma esistono forti dubbi sull’oculatezza con cui sono stati spesi. Si pensa che molti abbiano preso la strada del clientelismo e forse del malaffare. Certamente ne occorrono ancora tanti.

Sono visibili le tracce della solidarietà pervenuta dalle istituzioni nazionali e internazionali, anche se non corrispondente alle promesse fatte. Si può apprezzare l’auditorium della musica progettato da Renzo Piano e realizzato dalla provincia di Trento; una chiesa (prima, ed unica) restaurata dalla repubblica dell’Azerbaigian; diversi altri monumenti e manufatti ridati al loro splendore per opere di solidarietà.

Qua e la ho colto qualche segno di sfiducia e di rassegnazione. Questa è la preoccupazione maggiore, anche se, dobbiamo riconoscerlo, storicamente fondata. Sappiamo bene come l’Abruzzo sia stato nel dopo guerra terra di fortissima emigrazione e di miseria. Oggi, a fronte di una estensione territoriale pari alla metà di quella emiliana, conta solo un quarto dei suoi abitanti, e in prevalenza anziani. Una risorsa decisiva per L’Aquila, era la sua Università, quindi dagli studenti provenienti da fuori e oggi possiamo bene immaginare quale sia la situazione. Riconosciuto questo, credo però che gli aquilani e gli abruzzesi abbiano capito che il loro destino è anche nelle proprie mani. L’opera di ricostruzione, garantirà lavoro per qualche decennio. Se sapranno governare le risorse, la città potrà risorgere. Forse ancora più bella e funzionale di prima.

Concludo ricordando il groppo che ci ha colto alla gola, vedendo la casa dello studente frantumata e il palazzo di quattro piani che gli stava di fronte, imploso sulle proprie fondamenta indebolite per sete di denaro. Vi morirono tantissimi ragazzi. Erano costruzioni degli anni sessanta, quando il boom economico sposò in buona parte la speculazione. Se altro non si può fare, almeno rappresenti un monito per chi oggi è chiamato a dirigere l’opera di ricostruzione.

 

 

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