Politica

Unità, lavoro, giovani

 

Primo Maggio. Sono passato dalla piazza di Faenza, dove la celebrazione della festa del Lavoro, anche quest’anno si è svolta in forma unitaria. Cgil-Cisl-Uil erano assieme. La piazza era abbastanza gremita, ma il clima che si respirava era quello di una stagione difficile. Molti volti seri, in una giornata che dovrebbe essere di allegria composta e determinata.

Come fare tornare il sorriso in quei volti seri? Penso a tre parole da rimettere al centro: unità, lavoro, giovani.

Unità. I settori sindacali che credono sia utile fare da stampella a questo governo e quelli che tardano a capire che il mondo del lavoro è molto cambiato, dovranno tornare a parlarsi. Mentre cresce nei sindacati il peso di chi non lavora più e delle attività di servizio che il sistema ha loro affidato, milioni di giovani lavoratori non hanno di fatto alcun tipo di rappresentanza. Aziende con centinaia di addetti, particolarmente nei nuovi settori, sono totalmente sconosciute ai sindacati, il tradizionale contratto di lavoro è un illustre sconosciuto per quei lavoratori. Molti diritti sono sacrificati, troppi imprenditori, spesso a loro volta lavoratori, pensano che per chi lavora alle loro dipendenze il mondo debba esaurirsi dentro i loro stabilimenti. Negando così a loro la complessità e la bellezza della vita. La nuova, necessaria unità di azione del sindacalismo confederale, va costruita a partire da questo mondo dimenticato.

Lavoro. Il lavoro, come ha detto stamane in piazza a Faenza il sindaco Giovanni Malpezzi, è alla base della democrazia. Il lavoro, assieme alla formazione e alla solidarietà, sono indispensabili alla vita di ogni persona. Negare il lavoro equivale a negare la vita dell’individuo. Esiste il lavoro dipendente, quello autonomo, quello di chi intraprende. Una società democratica e civile deve riuscire a tenere assieme il tutto. Il dipendente che perde il lavoro deve essere inserito in un percorso che lo porti ad un nuovo lavoro, sostenuto da adeguati ammortizzatori e formazione. Il lavoro autonomo non deve essere la somma di tante riserve di caccia o essere posto alla mercè della concorrenza più sfrenata. Un sistema di regole certe debbono garantire il libero accesso e la leale concorrenza. Chi intraprende deve farlo sempre con l’etica della responsabilità; potrà anche decidere di spostare un’azienda all’estero, ma solo in un quadro di garanzia per il lavoro dei propri dipendenti e di rispetto per le comunità locali, che vuol dire compensare per la collaborazione avuta e per ciò che viene loro tolto.

Giovani. In piazza non ne ho visti. Rappresentano il primo problema che abbiamo di fronte. I nostri nipoti (non dico i figli perchè l’arco temporale è troppo limitato) riceveranno da noi una condizione di vita peggiore della nostra. Mentre noi abbiamo avuto una vita migliore rispetto quella dei nostri nonni. Ciò vuol dire che noi,che abbiamo goduto dei sacrifici dei nostri nonni, oggi, non contenti, ci prendiamo anche parte di ciò che spetterebbe ai nostri nipoti. Riflettere su questo vuol dire valorizzare i giovani e il loro lavoro in un sistema di relazioni che affidi il giusto valore al merito. Ma non basta, bisogna ridare dignità ai lavori e commisurare il merito ad ognuno di questi lavori. Deve essere valorizzato il merito anche a chi lavora in compagna, accudisce persone anziane, fa il muratore o il metalmeccanico. Naturalmente dentro un quadro di garanzie di base, sia economiche che normative, valide per tutti. Nella misura in cui queste cose sono vere, o anche solo verosimili, ecco che prende corpo l’idea di una nuova funzione del contratto di lavoro e del fatto che forse è giunto il momento della ricerca di una maggiore corresponsabilità dei dipendenti nella gestione della vita e dei tornacconti delle imprese.

Caso Galeotti. In piazza a Faenza volti scuri anche per questo fatto. Alcune persone mi hanno detto della ribadita intenzione dei dirigenti provinciali di sollevare ad ogni costo Galeotti dal suo incarico alla Cgil di Faenza. Mi pare assai strano che un sindacato che riesce a tenere assieme tanti dirigenti moderati e riformisti con dirigenti espressione di un radicalismo spinto come Landini e altri, non riesca a contenere ciò che esprime la figura di Idilio Galeotti. Continuo a pensare che nell’interesse della Cgil, sia giusta una normale ricomposizione della vicenda.

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