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I valori profanati della montagna

Sono belle le Dolomiti. Sono belle al mattino quando appaiono terse all’orizzonte, sono belle a mezzodì lambite dalle prime nubi salite dai boschi, sono belle verso sera quando il sole che si spegne le colora di rosa. Sia che si passeggi per i boschi o si salga ai prati, sia che si percorrano i sentieri in quota o si scalino le vette, il loro fascino resta immutato.

La nostra base è S.Vito di Cadore. Da quasi trent’anni vi trascorriamo tutto il tempo possibile e non ci siamo ancora stancati. Le dolomiti rappresentano il miglior viatico per affrontare il grande tema della montagna. Montagna da scoprire, da conoscere, da temere. Montagna da salire come una metafora della vita a cui ognuno può affidare il suo significato. Salire la vetta ti mette a nudo, ti scopre, ti fa sentire forte e fragile allo stesso tempo. Ti aiuta a comprendere, a sostenere e a sopportare il cammino della vita. Questo è lo spirito con cui è bello vivere la montagna, spirito che viene tradito da troppi. Ad esempio da chi si ostina a portare su persone con funivie o automezzi o da chi infierisce promuovendone oltre misura un uso dissennato e consumistico.

E’ quello che abbiamo potuto constatare i giorni scorsi salendo la Val Gotres, fino alla forcella Lerosa, dove l’azione del Kubota (i Giapponesi sono veramente arrivati ovunque) ha distrutto il bel sentiero fra boschi, sorgenti, rivoli d’acqua e cascatelle per farne uno stradello per mezzi motorizzati; oppure lungo il sentiero 411 che dal passo Falzarego conduce alla forcella Averau dove un piccolo collegamento fra due piste da sci ha in parte distrutto un bel sentiero di roccette. Per non dire del progressivo, mastodontico aumento delle seconde case e del mancato rispetto della natura, salvo poi piangere (lacrime di coccodrillo) quando in qualche modo si vendica, coinvolgendo le persone come è accaduto nei giorni scorsi.

Invitato da Lucio e Silvia, dopo alcuni anni ho ripercorso una (piccola) ferrata che ci ha consentito di salire in cima all’Averau. Un attimo di preoccupazione all’attacco, ma poi su con tranquillità e soddisfazione. La via era molto frequentata, ho quindi avuto il tempo di osservare il comportamento delle persone e sono rimasto molto colpito da come le cose siano cambiate in questi ultimi anni. Ricordo che si sale su pareti verticali con l’ausilio di una fune di acciaio appesa alla parete a cui ci si assicura con imbrago e moschettoni. Un gioco molto pericoloso, che spesso non ammette scampo se non si è adeguatamente attrezzati, anche di testa. Ho visto persone in scarpe da ginnastica, anziani tremanti scendere senza nessuna attrezzatura di sicurezza, ragazzi salire e scendere con un semplice cordino per l’ancoraggio, tipi senza casco, eccetera.

Ma ciò che più mi ha lasciato attonito è stato il comportamento di un gruppo di ragazzi e ragazze in età liceale. Come fossero in discoteca. Salti, urla, grida, scherzi. Un atteggiamento di vera e propria profanazione della sacralità della montagna. Quando ho capito che li accompagnava un prete il mio pensiero è corso subito a don Pio e al ben altro comportamento dei suoi ragazzi lungo i sentieri della montagna. Con rammarico ho avuto un’altra prova della decadenza morale che ci sta sempre più circondando ed ho pensato che, purtroppo, forse neanche la chiesa riesce ad esserne completamente immune.

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